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Piroghe senza mito

Ritrovare una piroga è toccare il momento in cui l'uomo dà inizio ad insediamenti stabili: ma gli ormai molti esemplari databili ad età relativamente vicine hanno fatto cadere l'esclusivo blasone preistorico tradizionalmente attribuito a questo tipo di reperto

Il punto delle ricerche nel Veneto, fra le regioni italiane che ci hanno restituito il maggior numero di monossili

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 testo di Antonio Rosso - collaborazione di Nicolò Pezzato - E-mail: info@archeosub.it
pubblicato, su "Archeologia Viva" nel numero 5/6 di Maggio/giugno del 1987

un altro contributo "Le imbarcazioni monossili del Veneto", è stato pubblicato negli atti del Convegno: La ricerca archeologica dalla preistoria all'alto medioevo - Castello di Villalta 24-25 settembre 1983

Nota: le foto comuni non sono state ripetute, così come la bibliografia è stata unificata

Rinvenire una piroga è sempre un avvenimento: un fantastico viaggio a ritroso nel tempo fino al momento in cui l'uomo, stanco di sempre continue migrazioni, si ferma e dà inizio ad insediamenti stabili. La piroga monossile, infatti, tradizionalmente è stata associata all'idea dei primi insediamenti stabili, soprattutto palafitticoli: nell'epoca in cui i fiumi ed i laghi probabilmente vivevano i loro momenti più felici e con essi l'uomo... E' il mito del buon selvaggio che sopravvive ai millenni fedelmente legato all'immagine di queste imbarcazioni che, per anni, sono state sinonimo di primitivo.

Alcune impegnative fasi del recupero delle piroghe di Selvazzano (Pd) dal letto del Bacchiglione. La complessa operazione fu svolta nel 1972 dal Club Sommozzalori Padova. (Foto: Club Sommozzatori Padova)

Oggi la situazione è cambiata. Lo studio dei sempre più numerosi reperti che vengono in luce, dissepolti dai sedimenti che per secoli ne hanno consentito la conservazione, ci sta offrendo un quadro dell'evoluzione di queste imbarcazioni molto diverso. Molte risultano appartenere anche ad età storiche e, d'altra parte sembra certo che, essendo più semplice costruire una zattera piuttosto che una piroga, queste ultime siano collocabili in un intervallo di tempo successivo alle prime e che il loro usosi sia potuto sviluppare solo nelle località dove più abbondanti crescevano gli alberi di alto fusto: materia prima necessaria.

Il rinvenimento di molti esemplari datati anche ad età storiche ha fatto cadere, così, anche il termine di preistorico o protostorico che spesso veniva posto accanto ai reperti in assenza di una datazione assoluta.

Veneto, Piemonte e Lombardia, sono le regioni che conservano il più elevato numero di imbarcazioni monossili.

Nel Veneto un tempo le segnalazioni ed i recuperi avvenivano soprattutto a seguito di lavori di sterro o durante prelievi di ghiaie o sabbie dal fondo dei fiumi. Negli ultimi anni il rinvenimento è, invece, soprattutto opera di appassionati subacquei.

E interessante notare che le località, in cui anché recentemente si sono scoperte imbarcazioni di questo tipo, appartengono sempre alla stessa area geografica ed i ritrovamenti sono localizzati in zone assai ristrette. Questo nonostante vengano ovunque eseguiti lavori di sterro sempre più ampi e profondi.

Si ha così che il triangolo Vicenza, Mestre, Chioggia, con Padova al centro, racchiude nel Veneto tutti i rinvenimenti noti, ed un'area di soli 25 chilometri di lato ne comprende da sola oltre il 90 per cento.

I ritrovamenti ad oggi noti sono, avvenuti lungo il corso del fiume Bacchiglione, del Brenta e nelle torbiere attorno al laghetto di Fimon, in provincia di Vicenza; fa eccezione il manufatto rinvenuto nel 1893 a Lova (una località ai margini della Laguna di Venezia, tra Mestre e Chioggia).

Non sempre gli esemplari recuperati sono apparsi in buone condizioni essendo spesso mutili e, in alcuni casi, quasi sfasciati. Nel recupero, poi, si sono usate sovente tecniche non idonee e, soprattutto nel passato, gli stessi esemplari non sono stati sottoposti a trattamenti di conservazione appropriati.

Particolare dell'estremità di una piroga rinvenuta nel Brenta, oggi al Museo Civico di Padova
Piroga recuperata a Piazzola del Brenta nel 1956

Nonostante siano stati numerosi i ritrovamenti, oggi è, dunque, possibile osservare solo poche di queste imbarcazioni, in gran parte disperse o deteriorate. Ci si è sempre affidati, infatti, alla naturale essiccazione e non sempre si è stati fortunati come con il reperto di Lova visibile al Museo di Storia Naturale di Venezia: in questo caso il legno era già interessato da un parziale processo naturale di carbonizzazione e le conseguenze di un non controllato processo di essiccazione non sono state drammatiche, pur essendo evidenti.(la datazione della Piroga di Lova)

A parte vanno segnalati invece due monossili ospitati ora al museo Civico agli Eremitani, di Padova, trattati con la necessaria tecnologia e che rappresentano, nel Veneto, gli unici due reperti consolidati scienti- ficamente. (Nota: sono stati trasportati ora a Cervarese S.Croce nel museo al Castello di San Martino.)

Dopo l'iniziale explait del Lago di Fimon, il primato è passato ai fiumi. Dal 1950 Bacchiglione e Brenta si alternano infatti, quasi in una gara silenziosa, a restituirci esemplari sempre più integri. Località come Pieve di Curtarolo, Tencarola, Selvazzano sono diventate celebri con i rivenimenti di piroghe.

Ma vediamo in dettaglio i ritrovamenti più significativi suddivisi per area.

A Fimon le torbiere del laghetto, nelle località di Fontega, Val di Marca, Pascolone, hanno restituito negli anni dal 1860 al 1945 molti esemplari di monossili: secondo alcuni autori certamente superiori alle venti unità. I reperti, di larghezza tra 60 e 70 cm, presentano lunghezze prevalentemente comprese tra 3 e 5 m, unica eccezione un esemplare lungo circa 9 m. Quasi tutti sono andati distrutti o dispersi, anche se di alcuni rimangono dei disegni quotati o calchi in gesso.

Nel Bacchiglione numerose sono le località in cui si sono trovati monossili: Selvazzano (4 esemplari),Tencarola (1) Montegaldella (1),Trambacche (3), Saccolongo (1). In totale si parla di 15-20 ritrovamenti, di cui almeno dieci sicuramente documentati. Tutte le monossili del Bacchiglione presentano lunghezze superiori ai 6 m. Particolarmente interessante il rinvenimento avvenuto a Tencarola, a pochi chilometri da Padova, di una monossile che portava infissi dei chiodi di ferro, mentre nella sponda destra aveva un largo incastro che ha fatto pensare alI'esistenza di una traversa per costruire una piroga doppia. Ciò è estremamente interessante in quanto, in Italia, sono molto poche le imbarcazioni di tale tipo note in letteratura.

Degli esemplari rinvenuti nel Bacchiglione, alcuni si trovano ancora in situ, altri sono andati in parte distrutti: i rimanenti di trovano al Museo Civico di Padova. Tra questi, i due monossili di Selvazzano, già citati, particolarmente significativi perché, grazie al restauro conservativo cui sono stati sottoposti, sono visibili nelle loro reali dimensioni: lunghi rispettivamente 9 e 16 m, anche se ambedue mancanti di una estremità, con una circonferenza di oltre 3 m, rappresentano uno spettacolo dawero imponente e suggestivo. Ad essi è stata dedicata un'intera sala. (nota: oggi si trovano al Castello di S.Martino della Vaneza a Cervaresa S.Croce - PD)

Significativa, per altri versi, anche la vicenda che ha coinvolto la piroga rinvenuta integra in località La Cucca di Montegaldella (Vi): dopo essere stata individuata, la monossile era oggetto di periodiche visite per garantirne l'integrità, finché è stata ugualmente recuperata da alcuni privati, che l'hanno trasportata, danneggiandola pure, nel giardino di una villa di un vicino paese (Cervarese - Pd), dove si trova ancora, senza alcuna protezione, sopra due cavalletti di legno (non era forse meglio lasciarla dov'era?).

Monossile rinvenuto nel 1982 a La Cucca di Montegaldella

Particolare di uno dei pioli confitti nel legno. Si notano anche le tracce di pece o catrame.

Il Brenta, da parte sua, ha restituito almeno cinque esemplari. Il primo ritrovamente è avvenuto a Piazzola di Brenta nel 1956, successivamente altri reperti sono stati rinvenuti a Pontevigodarzere (1) e a Pieve di Curtarolo (3). Anche di questi reperti, ciò che rimane, è custodito nella sede del Museo Civico di Padova.

A Curtarolo (Pd) era stata segnalata pure una monossile che portava un idolo di legno scolpito sulla prua l'esemplare, purtroppo, è andato perduto.

Anche le piroghe recuperate nel Brenta non sono mai state di lunghezza inferiore agli 8 m, e, in un caso (Piazzola di Brenta), la monossile era di circa 10 m totali, con una larghezza massima di 90 cm di diametro. Come tipologia sembrano, pertanto, diverse da quelle di Fimon, ma molto simili a quanto rinvenuto nel Bacchiglione.

Il monossile rinvenuto a La Cucca di Montegaldella, durante il rilevamento subacqueo

Il legno delle monossili, finora rinvenute, è sempre stato attribuito a quercia: I'associazione forestale a latifoglie che ha predominato nel postglaciale sostituendo i precedenti boschi di conifere. Anche le altre piroghe italiane sono costruite prevalentemente utilizzando tronchi di quercia, anche se in alcuni casi si è usato il castagno.

La quercia, del resto, soprattutto la varietà farnia (Quercus peduncolata) è la più adatta a questo uso essendo particolarmente robusta e resistendo a lungo anche immersa.

Questa varietà (è la quercia italiana di maggior mole) può raggiungere i 30-50 m di altezza e 2 m di diametro, ed è estremamente longeva riuscendo a sopravvivere fino ad un millennio. Il legno è pesante, ma facile a lavorarsi: particolarmente pregiata è la quercia dei boschi padani e della Croazia.

Spesso questa specie viene chiamata rovere, anche se propriamente il termine «rovere» andredde usato solo per la Quercus sessilis che differisce dalla farnia per minor mole e minor longevità.

A cosa dovessero essere destinate in generale le piroghe è ancora un punto discusso, soprattutto perché alcuni ritrovamenti sono avvenuti in piccoli laghi che potevano avere anche solo un chilometro di perimetro. In questo caso sembra che dovessero servire soprattutto per la raccolta ed il trasporto di specie vegetali con le quali erano coperti i tetti delle abitazioni, e a tale scopo dovevano essere utili le piroghe doppie.

Il loro uso doveva essere tuttavia polivalente, soprattutto nelle prime utilizzazioni. Il prof. Giovanni Gorini vede, ad esempio, la prima Padova come «un villaggio di piccole capanne rotonde collocate lungo la riva del fiume, sostenute da pali confitti nel terreno...», in cui «...fondamentale... era il corso d'acqua sul quale gli antichi paleoveneti correvano con le lunghe piroghe ricavate da grandi tronchi di quercia fino al mare Adriatico . . . », ricavando probabilmente questa idea dai resti di un villaggio scoperto a Padova «costruito su colmate rinforzate da travi orizzontali» situato «sulle rive di un corso d'acqua, dove si sono trovate conchiglie marine».

Che età hanno le piroghe del Veneto? Solo due esemplari sono stati datati. Una monossile di Fimon, attribuita mediante analisi al radiocarbonio al 2630 a.C., è tra le imbarcazioni più antiche che si conoscano in Italia ed è stata ascritta al Bronzo antico padano, agli inizi della cultura della Polada. Molto più recente la datazione di una della piroghe di Selvazzano (VII sec. d.C.), tanto recente che alcuni avevano avanzato dubbi in proposito.

Le problematiche aperte da simili datazioni, del resto, non sono proprie solo dell'area veneta: nel lago di Monate (Varese) si sono trovate piroghe risalenti dai primi secoli delI'era volgare fino all'XI sec. d.C. e nel lago Trasimeno si è trovato un esemplare che, con l'età assoluta di 744 + 110 anni, appartiene al XIII secolo. L'arte di fabbricare piroghe e di usarle, non è stata propria, quindi, solo di epoche antiche ma, sia pure per esigenze particolari, è continuata molto più a lungo, fino in tempi relativamente recenti - (la datazione della Piroga di Lova)

Sono proprio problematiche come queste, risolvibili solo con un elevato numero di dati disponibili, che rendono in definitiva importante la prospezione in situ delle piroghe, prima del recupero ad opera di subacquei: si pensi che di quasi tutti i reperti non si conoscono le stratigrafie, né si ha uno schizzo della posizione di ritrovamento, annotazioni utilissime in quanto nel volgere dei secoli i fiumi Brenta e Bacchiglione hanno modificato innumerevoli volte il loro corso, per cui si hanno oggi situazioni molto dissimili dal passato.

Sarebbe auspicabile quindi istituire sistematiche ricerche nei fondali dei fiumi veneti, rilevando già in immersione i manufatti rinvenuti, rapportandoli alla morfologia dell'ambiente circostante ed effettuando stratigrafie e campionamenti di sedimenti. A Padova ciò sta già avvenendo: per la stesura della carta archeologica del Bacchiglione, realizzata con il coinvolgimento anche di alcuni clubs archeologici locali. Lo stesso si sta facendo per il Tevere.

In acuni casi si dovrebbe arrivare alla protezione fisica del manufatto, come è già stato fatto, ad esempio, nel Ticino in un recente ritrovamento.

Si deve infatti tristemente notare che per questo tipo di reperti la migliore protezione è l'ambiente in cui si trovano. Una volta esposti all'aria, se non vengono sottoposti ad un adeguato trattamento conservativo (che comporta costi elevati) essi si riducono a ben miseri resti: legni secchi e contorti, privi di ogni significato scientifico.

E bene pensarci, quindi, prima di intraprendere un recupero. Inoltre è impotante che tutta la fase di raccolta dati venga eseguita in situ, in modo da disporre subito dei dati necessari all'inquadramento del manufatto, dati che quasi sempre «dopo» non si possono più ottenere.

 

Tassonomia delle piroghe

Ancora nel lontano 1967 uno studioso milanese, da poco scomparso, Cornaggia Castiglioni, provò ad effettuare una classificazione delle piroghe italiane fino allora a lui note.

Successivamente nel 1978 integrò queste prime idee e ampliò il quadro della possibile definizione tipologica di una piroga in base ad osservazioni morfologiche.

Ne è uscita la classificazione che riportiamo a lato e che ad oggi risulta ancora l'unico tentativo tassonomico di definire la morfologia di un monossile mediante una formula.

 
Tassonomia delle piroghe. (Dis. di E. Radicchio, da Cornaggia Castiglioni)

Essa deve poi essere completata con le principali dimensioni di ingombro o la eventuale presenza di «dettagli morfologici minori, quali ripiani, traversine o fori passanti».

Come usare la tavola? Prendiamo le piroghe di Fimon. Esse sono prevalentemente di tipo B2 x A x S1, il che significa: imbarcazione provvista di un'estremità ogivale (B2), un'estremità semicircolare (A) e avente sezione semicircolare (S1).

Un'imbarcazione invece con ambedue le estremità ogivali e sezione subcircolare avrà formula B2 x B2 x S2.

Se uno degli elementi non fosse riconoscibile oppure fosse mutilo si indicherà uno zero (O) nella formula. Esempio: la piroga di Lova che ha solo una estremità appuntita ben riconoscibile e sezione subcircolare ha formula B x O x S2.

 

Riferimenti bibliografici

 

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