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Robot sulle orme degli antichi
Con il progetto "Baratti 2001" ricercatori e Marina Militare hanno scandagliato il Tirreno - Nuovi automi e sonar impiegati per il recupero del patrimonio archeologico subacqueo
di Luigi dell'Aglio
pubblicata su "SOLE 24 ORE NEW ECONOMY" nel numero del 28 settembre del 2001
I robot subacquei, veri e propri sottomarini autonomi senza equipaggio, hanno un origine militare. La Marina degli Stati Uniti fa largo uso dì questi strumenti tant'è che ha fondato. nel 1987,un apposito centro dl ricerca (Auv Reserach) che ha lo scopo di studiare anche le architetture di controllo e gestione di questi automi marini, capaci di sminare un fondale o di posare un cavo transoceanico per le telecomunicazioni. Nel corso degli anni, infatti, il campo di impiego di queste macchine è arrivato a comprendere applicazioni scientifiche e anche commerciali. Solo il mare profondo può nascondere tesori archeologici ancora non violati dai predatori. Perciò è legato ai robot e alla tecnologia della risonanza acustica il futuro dell 'archeologia subacquea. Un largo fronte di ricerca sì è già costituito e riunisce università (Genova, Pisa e Siena), studiosi americani (dei Massachusetts Institute of Technology di Boston e deil'American Academy di Roma), Marina militare, ministero dei Beni culturali e altri centri di studio. Obiettivo: ricercare, monitorare e proteggere il numeroso patrimonio archeologico dei mari italiani. |
Il rov Min MK2 mentre si prepara per una prospezione archeologica |
La collaborazione funziona ed è stata collaudata, l'estate scorsa, nel tratto di mare compreso tra il golfo di Baratti (che rientra nel Comune di Piombino) e l'isola d'Elba. Questa zona del Tirreno riveste grande importanza per l'archeologia subacquea: era Il punto d'incontro di vitali rotte commerciali nel mondo antico.
Sotto il nome di «Baratti 2001« è stata realizzata un'operazione che ha impegnato la nave cacciamine «Crotone», i robot militari Pluto e Min MK2, e il robot civile Phantom messo a disposizione dal Museo Vivo delle Tecnologie per l'Ambiente, di Arenzano (Genova).
Per le prossime missioni, è in programma anche l'uso di un veicolo subacqueo completamente autonomo, progettato dal Mit.
Il saccheggio dei reperti
«E necessario spingere l'esplorazione a profondità maggiori dei 42 metri entro i quali possono operare i sub. E occorre farlo con gruppi di ricerca molto ben organizzati: finora tutte le zone di mare i cui l'uomo può scendere con l'aiuto di un autorespiratore sono state violate» &emdash; spìega l'archeologa Pamela Gambogi, che dirige il Nucleo operativo subacqueo della Soprintendenza archeologica della Toscana e con la sua equipe ha partecipato alla Campagna Baratti 2001.
«Negli ultimi venti anni &emdash; prosegue l'archeologa&emdash; il sempre più diffuso sport subacqueo ha reso possibile il saccheggio di numerosisami giacimenti. Gli sportivi non sono predatori nè trafficanti ma basta che qualcuno di loro porti via, come souvenir, un'anfora o un frammento di terracotta, e il danno complessivo è notevole».
La necessità di un'indagine sistematica è apparsa fin troppo chiara quando la Guardia di Finanza ha recuperato una gran mole di materiali trafugata da ladri di tesori sommersi e proveniente dalle Secche della Meloria. «Si può dire che, nelle acque di fronte alla Toscana sia stato quasi completamente asportato tutto ciò che era in vista. Di relitti con cumuli di anfore ellenistiche e romane (ma anche di oggetti più preziosi), è rimasto ben poco
Talvolta agli archeologi è impossibile perfino ritrovare le tracce che documentano l'antico naufragio» fa notare Pamela Gambogi.
E ricorda che, per proteggere i patrimoni archeologici che si trovano in fondo al mare. Grecia e Turchia hanno rigorosamente proibito l'immersione con autorespiratore nelle loro acque.
Il progetto Baratti
Oggi, in Italia, i siti archeologici inviolati sono quelli che finora erano praticamente irraggiungibili per l'uomo, tira le somme l'archeologa.
Il ministero dei Beni culturali ha perciò dato impulso al progetto Baratti, attraverso il Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea diretto da Moccheggiani Carpano, con l'intervento essenziale della Marina militare.
La campagna, svoltasi dal 21 al 31 agosto, ha dimostrato che le nuove tecnologie rispondono alle attese degli archeologi. Il progetto ha consolidato una fitta rete di collaborazioni internazionali (anche attraverso la Lerici Ocean Science & Technology Association, che con l'ingegnere Giancarlo Vettori ha coordinato la ricerca). Sono stati esplorati dieci chilometri quadrati di fondale, entro i quali i robot subacquei hanno identificato 25 «contatti» sonar.
Nella maggior parte del casi si è trattato di relitti recenti, spiega il professor Andrea Caiti, che insegna teoria dei sistemi all'Università di Siena e fa parte del team dell'interuniversity Centre of Integrated System for the marine environment (Isme). Ma in nuovi siti sono state scoperte anfore di età romana. Nel corso della missione è stata compiuta una completa esplorazione video, automatica e georeferenziata senza aiuto di sommozzatori.
E' la prima esperienza del genere in Italia e una delle prime del mondo, osserva il prof. Giuseppe Casalino, che insegna robotica industriale all'Università di Genova ed é direttore dell'Isme.
Ora l'obbiettivo é l'esplorazione a tappeto del fondale marino, lungo le rotte percorse dagli etruschi e dai romani.
Entro l'anno in queste acque dovrebbe scendere un Auv , Autonomous Underwater Vehicle, cioè un robot subacqueo non filoguidato, sul quale verrà montato - oltre ad un side scan sonar - un sonar che penetra nel fondo.
Le rotte
Gli antichi eviravano di affrontare tratti troppo lunghi di navigazione in mare aperto - spiega Pamela Gambogi. Perciò le navi provenienti dal Mediterraneo orientale e dirette a Massalia, l'attuale Marsiglia, ricca colonia greca fondata nel 600 a. C., risalivano il Tirreno e passavano tra l'arcipelago toscano e la costa. Facevano tappa obbligatoria nel golfo di Baratti, dove sorgeva il porto di Populonia, unica città etrusca fondata sul mare».
A scegliere questo tratto di mare per la campagna Baratti hanno provveduto l'archeologa toscana e la professoressa Anna Marguerite Mc Cann, dell'American Academy, pioniera (fin dagli Anni Sessanta) della ricerca subacquea nel mare di Toscana.
L'interesse degli archeologi per questo tratto di mare si accende negli anni Ottanta, quando viene ritrovata per caso (impigliata nelle reti di un pescatore) una preziosa anfora d'argento della fine del IV secolo d.C. decorata con medaglioni a rilievo. «Nel mare di Toscana &emdash; spiega Pamela Gambogi &emdash; era stato scoperto anche il cosiddetto relitto del Pozzino, con uno straordinario carico di oggetti molto particolari che illustrano usi e tecnologie dell'epoca (si tratta dì strumenti chirurgici, cilindretti di legno per sostanze aromatiche, vasi di stagno, coppe di vetro, ceramica dipinta, contenitori fabbricati nell'isola di Rodi). Si trovavano a bordo dì una nave naufragata intorno al 140-120 a.C.».
Lungo la rotta est-ovest, le navi provenienti dalla Grecia trasportavano vasi attici, cui raffinati disegni sarebbero ricomparsi sulle pareti delle tombe etrusche. A bordo di queste imbarcazioni c'erano vino, olio, derrate alimentari, ceramica da mensa, tutta merce diretta verso la Gallia.
Le navi tornavano in Oriente cariche di preziosi metalli. Il tratto di mare tra l'Elba e la costa toscana e un area strategica per gli archeologi anche perché proveniva proprio dall'Elba buona parte dcl metallo diretto in Grecia e che li andava a soddisfare una domanda elevatissima. Il ferro veniva estratto nell'isola, fuso nei suoi forni (l'Elba era chiamata Aithalia, cioè «quella che fuma»), trasportato via mare a Populonia e qui raffinato e lavorato. «Gli autori antichi accennano spesso alla frequenza con la quale le na-vi percorrevano il mare tra le isole toscane e Populonia» riferisce Pamela Gambogi.
Come tutti gli altri relitti, anche quello del Pozzino era stato liberato dalla sabbia e studiato, ma non era più integro, in quanto i saccheggiatori lo avevano in parte manomesso. L' equipe della Soprintendenza della Toscana ha studiato, fra gli altri, anche il relitto di una grossa nave oneraria che trasportava marmo bianco. Sul fondale restano undici grandi blocchi squadrati e un fusto di colonna già lavorato. Il carico andato a fondo pesava circa 50 tonnellate.
Luisa D.wAsuo
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