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Quando la storia si fa trasparente
di Giorgio Mesturini
pubblicata su "AQVA" Febbraio 2003 - pag. 130-131 - Per gentile concessione del Direttore Responsabile
Dall'antichità ad oggi l'arte vetraria ha solcato i mari, diventando sempre più preziosa e affinata
Il vetro ha un passato antichissimo e la data di nascita di questo materiale è celata tra le pieghe della storia, dal momento che cominciò ad essere utilizzato a partire dal 2500 avanti Cristo.
Gli egizi lo producevano con una composizione a base di soda, sabbia silicea e calce, tecnica che si diffuse rapidamente nelle aree circostanti soprattutto tra i Fenici, approdando a Cipro e in Grecia, e più tardi anche in Italia.
Nell'area del Mediterraneo sorsero così importanti centri di produzione dove vennero sperimentate ed attivate nuove tecniche di lavorazione.
Furono però i Fenici a rivoluzionare la lavorazione del vetro introducendo la tecnica della canna da soffio, alla quale si deve la possibilità di una creazione illimitata di forme ed oggetti.
Le officine dei vetrai fenici di Sidone si affermarono tra le più rinomate dell'area mediterranea ed è da qui che è nata la leggenda che attribuisce la paternità dell'invenzione del vetro al popolo fenicio.
Dalla quasi totalità delle città fenicie provengono a partire dal VI al I secolo a.C. vari oggetti in vetro, come vasetti di colore blu con strisce e spirali arancio e interessanti unguentari, con decorazioni rosso porpora, la maggior parte delle quali ricalcano, almeno nelle forme, i modelli greci.
Ma le botteghe vetraie di Sidone producevano anche amuleti, scarabei e pendenti dalla forma di figure umane, oggetti in cui gli studiosi hanno visto brillanti alternative ai prodotti di oreficeria e alle pietre dure; monili che non erano sempre facilmente reperibili dal popolo meno abbiente.
L'arte del vetro a Roma venne importata dagli artigiani orientali e più propriamente dai paesi della Siria, provincia dell'impero, dove era da tempo praticata.
Le fornaci romane però riuscirono a perfezionare ulteriormente la lavorazione del vetro mediante aggiunta di ossidi metallici e coloranti, in grado di sprigionare stupefacenti variazioni nel colore.
La fusione era operata con fuochi di legna e alle sabbie silicee veniva solitamente aggiunto ossido di rame, che donava al vetro una tinta blu, verde, ed in certe condizioni anche rosso rubino.
Il vetro veniva fatto liquefare come il rame in una serie di fornaci contigue e i lingotti prodotti erano poi distribuiti nelle botteghe degli artigiani per poi essere nuovamente rifusi e produrre così piccoli oggetti quotidiani.
Nonostante la sua fragilità, il vetro era trasportato come altri beni di consumo, lungo le rotte mediterranee e anche attraverso le piste carovaniere.
Il commercio marittimo fu fin dall'antichità il più vantaggioso dal punto di vista economico e spesso il vetro, come la ceramica ed i bronzi, faceva parte del carico delle navi e quindi trasportato in varie forme come lingotti, masse grezze, frammenti di vasi rotti o monili finiti.
Il relitto più antico (XIV sec. a.C.) in cui sono stati rinvenuti lingotti di vetro è quello di Uluburun, naufragato sulle coste della Turchia meridionale; è comunque tutta la storia antica, nascosta sotto il mare, a raccontarci delle rotte del vetro.
Nel Mar Adriatico, su entrambe le sponde sono stati scoperti relitti d'epoche diverse e in uno di questi, risalente alla fine del I secolo a. C., è stata ritrovata una fine coppa in vetro, destinata probabilmente al corredo di bordo.
Facevano parte del carico della nave, anche i vasi di vetro rinvenuti nella nave d'Ilovik, affondata lungo la costa croata, in età Adriana.
Interessante è una botte di legno, scoperta nel relitto di Grado (200 d.C..), dove era stivata un grande varietà di vetri rotti destinati al riutilizzo.
Questi pronti per essere fusi nuovamente, hanno fornito agli archeologi molte informazioni; tra i reperti trovati spiccano tre fondi di bottiglia con bolli, di cui uno si riferisce a C. Salvius Grato, artigiano molto noto nel nord est della penisola.
La tradizionale produzione del vetro di Aquileia, che si è poi tramandata nelle botteghe artigiane di Venezia, è testimoniata anche dai ritrovamenti avvenuti nelle acque di Malta, dove una nave diretta verso i porti del nord Adriatico affondò tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. con un carico composto da dodici vasi e masse di vetro grezzo insieme a materiali siriani, greci ed egizi, segnalandoci così la presenza di una probabile rotta del vetro.
In Croazia sono stati individuati due relitti, databili tra il IX e il X secolo, che contenevano frammenti di vetro provenienti forse da Costantinopoli e destinati a qualche porto della Dalmazia bizantina.
Possiamo quindi concludere questa rassegna di testimonianze sui commerci del vetro con il relitto del XVI secolo ritrovato davanti a Venezia, che per il suo carico costituito da un cospicuo quantitativo di vetro grezzo, è stato definito appunto "Relitto del Vetro".
Risulta chiaro dalle diverse testimonianze archeologiche che il vetro possedeva un notevole valore commerciale qualunque fosse il suo stadio di lavorazione.
Infatti, come per i metalli, le officine vetraie potevano riutilizzare gli scarti ed i frammenti del vetro rifondendoli nuovamente, caratteristica che gli ha permesso di essere uno dei primi prodotti ad essere riciclato e riutilizzato nel tempo.
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