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I ROMANI COLONIZZARONO LA LAGUNA DI VENEZIA?
E' a Roma che la futura potente città dei dogi deve le sue stesse origini?
Non mancano ipotesi coraggiose ed interessanti, ma la soluzione del quesito é ancora lontana.
Per questo è fondamentale l'attività subacquea di ricerca praticata da molti anni sui difficili fondali lagunari
di Antonio Rosso - E-mail: info@archeosub.it
pubblicata su "Archeologia Viva" nel numero di Ottobre del 1982
Sino a pochi anni fa i materiali recuperati nelle acque della Laguna di Venezia venivano considerati di riporto, provenienti dalla vicina località di Altino, importante centro, in età romana, all'incrocio della via Annia con la Claudia Augusta.
Oggi le cose sono cambiate. Si può già dire che la presenza romana nella laguna è più di una ipotesi.
Non sono ancora stati rinvenuti dei grossi insediamenti, ma i materiali ed i manufatti riferibili a tale età sono numerosi e associati in qualche caso ad opere murarie che avvalorano l'ipotesi della presenza di nuclei stabili in laguna. Una Venezia romana dunque? Il Marzemin lo ha supposto ed ha lasciato anche un voluminoso libro, "Le origini romane di Venezia", scritto nel 1937, su cui si è discusso molto.
Ancora oggi non si può dire nulla di preciso a riguardo; però molte delle ipotesi attuali sembrano avvicinarsi alle teorie esposte nel libro.
Prima di parlare di quanto è stato fatto, e cosa si è trovato, è bene subito dire che la ricerca archeologica nella Laguna di Venezia ha sempre incontrato difficoltà in quanto il particolare tipo di ambiente spesso impedisce allo studioso l'uso dei classici sistemi di rilevamento e concede poco spazio ad una metodica ricerca di tipo tradizionale, che è stata quindi necessariamente limitata alla gronda lagunare e alle isole. Inoltre l'assiduo lavoro dell'uomo nelle varie epoche per la costruzione di opere di arginatura e di bonifica, per ampliare o innalzare il suolo della stessa Venezia o delle isole, spesso ha portato alla utilizzazione di materiali prelevati da zone diverse e si è avuto un rimaneggiamento orizzontale e verticale dei livelli.
In questo contesto appare evidente l'immediata difficoltà nel riconoscere i materiali in posto da quelli trasportati e rende prudenti gli studiosi nella interpretazione dei ritrovamenti nell'area lagunare.
Numerosi sono gli studiosi interessati al problema della presenza romana in laguna e negli ultimi anni si è venuta maturando una collaborazione tra storici, archeologi, geologi e subacquei che sta sollevando il velo di mistero che ricopre questo periodo.
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Le fonti letterarie non chiariscono il problema, anzi lasciano la mente di chi le legge aperta ad ogni suggestione. Marziale in un suo epigramma paragona le ville costruite sui lidi di Altino a quelle di Baia, nel golfo di Napoli, che era la più rinomata località di riposo e di vacanza dell'epoca. Il geografo Strabone parla di città situate nelle paludi e costruite su palafitte, comunicanti con il mare per mezzo di piccoli canali; e Vitruvio, che ci illustra il clima di questi municipi, ne loda la salubrità, che lo stesso Strabone aveva riconosciuto ed apprezzato malgrado l'umidità del suolo e le estese paludi.
Per finire, Plinio riferisce di canali trasversali ("fossae per trasversum"), costruiti artificialmente per poter navigare attraverso vari bacini idraulicamente indipendenti, mettendo così in evidenza una particolare cura per le comunicazioni acquee.
Vediamo ora quali località riferire a tale epoca.
L'origine romana di Chioggia, I'antica Clodia, è un fatto certo. Lo dimostra anche la sua topografia urbana in cui si è riconosciuto un reticolato geometrico facente parte di una centuriazione. Che Chioggia rappresenti una propaggine di un disegno più vasto è stato anche dimostrato dalI'elaborazione di foto eseguite da satelliti artificiali che hanno anzi permesso di riconoscere centuriazioni lungo tutta la fascia lagunare, orientate in varie direzioni.
In quest'epoca fu abitata anche Torcello, forse Mazzorbo (Maior Urbis), così come probabilmente molte località oggi scomparse (Costanziaca, Ammiana) e secondo alcuni autori la stessa area su cui sorge ora Venezia ha conosciuto una presenza romana.
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Cosa è rimasto oggi di tale periodo? I più importanti resti sono stati rinvenuti ad Altino. Altino era un grosso centro economico-commerciale e importante nodo stradale: ad essa facevano capo la via Annia proveniente da Padova e diretta ad Aquileia, la Claudia Augusta diretta a Feltre e a Trento e la via Popilia che, proveniente da Ravenna, accorciava &emdash; perché più prossima alla laguna &emdash; I'itinerario della via Annia alla quale si congiungeva prima di entrare in città. I tracciati di tali strade sono ben visibili nelle foto aeree ed alcuni tratti sono ancora percorribili attualmente.
In questa località, dopo i primi ritrovamenti casuali, si è iniziato quello studio sistematico &emdash; ancora in corso &emdash; che ha portato alla scoperta di una necropoli con ricchissimo materiale funerario, fondazioni di case, numerosi pavimenti di abitazioni, frammenti di intonaci dipinti, strade lastricate ed urbane. Tutto il materiale rinvenuto stato poi raccolto nel museo situato al centro della stessa zona archeologica.
Passiamo ora alle località propriamente lagunari. A Torcello in occasione degli scavi effettuati nel 1962, una équipe polacca ha recuperato una notevole quantità di materiale romano risalente ai primi secoli dopo Cristo e ha dedotto che esisteva una colonizzazione sparsa, ma stabile.
Nei canali che circondano l'isola sono frequenti, del resto, ritrovamenti di sesquipedali (mattoni romani di cm. 45 per cm. 29,6), embrici (quelle tegole particolari, piane, a forma rettangolare con due bordi rialzati) ed anfore. Lo stesso museo di Torcello conserva vari reperti trovati nelle zone adiacenti: fibbie, specchi, alcune are in pietra, iscrizioni latine, figurine in terracotta e in bronzo assieme ad altri oggetti provenienti da varie località situate lungo la gronda lagunare, quali ad esempio una statuetta in marmo proveniente da Campalto, un cippo romano con rilievi messo in luce a Caposile e un idoletto ritrovato a Trepalade.
Oltre a queste località, in tutta la laguna settentrionale si ha comunque notizia di vari ritrovamenti. Nell'area delle ex saline di S. Felice, dove probabilmente sorgeva l'isola di Ammiana, è stata trovata una iscrizione, poi perduta, attribuita all'età augustea. Nelle vicinanze di Lio Maggiore, in un canale sono stati individuati da subacquei padovani resti di strutture murarie assieme ad anfore, embrici e sesquipedali. Ritrovamenti analoghi sono stati effettuati anche a Lio Piccolo nel canale dei Bari.
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Frequenti sono poi i recuperi casuali ad opera dei pescatori che rinvengono nelle loro reti colli di anfore, frammenti di vasellame o pezzi di embrici.
Poco numerose sono invece le notizie di ritrovamenti nel bacino centrale della laguna. Nell'isola di S. Angelo della Polvere è stato dissotterrato nel 1849 un cippo dedicato a C. Tiburnio e nei pressi di Fusina sono venute alla luce monete romane, olle cinerarie, embrici e pavimenti.
Infine davanti a Malamocco nel 1899, durante i lavori per la costruzione della strada da S.M. Elisabetta a Malamocco è stata rinvenuta una struttura muraria a cui era associato del materiale riferibile all'età romana.
Molto frequenti invece i ritrovamenti, tra cui anche manufatti idraulici, a Chioggia e dintorni (soprattutto in località Cà Manzo) e ciò è comprensibile in quanto si è già visto come essa sia legata ad origini romane anche nella struttura urbanistica.
Si deve infine ricordare che nella stessa Venezia, nello scavo per il restauro del Fondaco dei Turchi (oggi Museo di Storia Naturale) sono stati ritrovati numerosi oggetti tra cui lucerne, un vaso per unguenti in terracotta, un vasetto in vetro, una figurina in bronzo e una moneta dell'imperatore Traiano.
Sono stati inoltre attribuite a questa età le palificazioni venute in luce durante lo scavo del Rio Nuovo a tre metri di profondità e lungo il canale di S. Pietro di Castello sono stati scoperti «residui strutturali di mura, lunghe e massicce fondazioni... con resti di anfore romane» (G. Marzemin). Sono stati riferiti all'epoca romana anche i resti di strutture scoperte nel 1816 davanti all'isola di S. Giorgio e ritenute molto probabilmente appartenenti ad una salina.
Inseriti nelle murature di case e palazzi veneziani inoltre è possibile trovare altri resti di epoca romana.
Presso il campo S.M. Formosa, in Fondamenta dei Preti, è inserita di angolo nel palazzo ai piedi del ponte omonimo una edicola con iscrizione latina, così pure è visibile un'altra iscrizione in campo S. Vidal alla base del campanile e alla fine della calle dei Testori, parallela alla calle della Cà d'Oro; inoltre, alla Madonna dell'Orto, nel Palazzo Mastelli, detto del «Cammello» per il rilievo che raffigura un uomo che trascina un cammello, un'ara romana è stata utilizzata come colonna della finestra d'angolo. Al Museo Archeologico sono anche conservate due are scavate per essere utilizzate come vere da pozzo.
E' ben nota l'abitudine di utilizzare materiale recuperato da case distrutte e centri abbandonati; e Altino, dopo il suo declino, non si è sottratta a tale regola: infatti molte iscrizioni &emdash; oggi andate in gran parte perdute &emdash; sono state riconosciute come provenienti da tale zona.
Anche nelle isole si trovano analoghi esempi di riutilizzo in epoche posteriori di materiali romani.
A Murano, ad esempio, i due pilastri ottagonali sulla facciata della chiesa di S. Donato e quello posto come base dell'acquasantiera provengono da Altino, così come la vasca battesimale è ricavata da un sarcofago.
Il quadro dei ritrovamenti appare dunque molto interessante, ricco di temi affascinanti, ma anche pieno di lacune le cui risposte rimangono ancora sepolte sotto la spessa coltre di sedimenti lagunari.
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I ritrovamenti sono spesso opera di subacquei ed appassionati. Ci si riferisce in particolar modo alla notizia apparsa recentemente sulla stampa del ritrovamento e rilevamento di circa trenta argini, costruiti prevalentemente in legno e pietrame (il più lungo raggiunge i 140 metri), associati a materiale romano: alcuni erano situati vicini a resti di edifici.
Numerosi sono gli interventi operati, svolti in collaborazione tra enti pubblici e clubs subacquei locali, tra i quali un cenno merita il Sub San Marco di Venezia, non fosse altro perché lo scrivente ne è socio: è il particolare ambiente in cui si opera che ha portato a questa collaborazione, in laguna infatti i resti riferibili all'età romana si possono trovare o mediante scavi su isole o nel fondo dei canali dove le correnti mettono a nudo ciò che i sedimenti hanno coperto.
Più precisamente, lo strato romano si trova ad oltre due metri di profondità. Si spera pertanto che dalla collaborazione di tutti si ottengano risultati capaci di portare un ulteriore contributo alla conoscenza dell'evoluzione storica della Laguna di Venezia, permettendo così di comprendere meglio quegli uomini che pur accettando l'ambiente che li circondava, non sono stati disposti a subirlo e hanno saputo creare con esso un rapporto probabilmente unico.
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Ruderi di ville romane sotto il fango? Una affascinante ipotesi
Dicembre 1972. A bordo di una imbarcazione si risale un canale a nord di Torcello. La giornata è limpida e fredda. Siamo al margine della laguna, dove l'acqua salata si mescola a quella dolce e dove cresce rigoglioso il canneto.
Nostra meta una zona arginata, utilizzata per l'allevamento del pesce: durante gli scavi delle vasche nel terreno paludoso, sono venuti alla luce grossi blocchi di legno, alcuni a sezione circolare, altri squadrati, simili a colonne, di notevoli dimensioni associati a numerosi cocci e frammenti di mattoni.
Ci accompagna l'ispettore della Soprintendenza, il sig. Canal, a cui si deve la scoperta. Ormeggiamo e ci prepariamo ad immergerci per ispezionare il fondo delle vasche che potrebbe riservare ancora altre sorprese.
L'acqua ha una temperatura di 6 gradi, ma la curiosità ci spinge.
Per ragioni di spazio abbiamo portato con noi i respiratori ad ossigeno, più leggeri di quelli ad aria.
La visibilità è sufficiente. Ognuno ha il suo settore, ognuno sa cosa fare. Sul fondo si trovano resti di pali ancora saldamente piantati, frammenti di mattoni, tegole, embrici, cocci: materiale appartenente prevalentemente al I secolo d.C. Viene recuperato anche un frammento di mosaico.
I rilevamenti precedentemente compiuti dalla superficie mediante aste metalliche concordano con livelli e direzioni trovate in acqua:
Gli allineamenti dei pali a circa 2,5 metri di profondità si perdono sotto il terreno paludoso; vengono localizzati anche altri blocchi di legno a distanze regolari. Dal rilevamento eseguito la zona appare come un rettangolo con un lato delimitato da colonne a sezione rettangolare, suddiviso da strutture che al suono del sondino che le colpisce sembrano essere in cotto e in pietra viva. Sembra la pianta di una grande e complessa costruzione. Tornano in mente i versi del poeta Marziale: «...o lidi di Altino, emuli delle ville di Baia o selva memore del rogo di Fetonte. . . ».
Una Fantasia? I Frammenti di mosaico lasciano aperta ogni ipotesi. Sono passati dieci anni da allora: il quesito non è stato sciolto, nonostante le ricerche siano continuate; uno scavo del resto sarebbe estremamente costoso. Ci piace però pensare che quei resti possano essere appartenuti proprio ad una delle ville ricordate dal poeta.
Il mistero di quei monoxili in legno
Da alcuni anni si ha notizia del rinvenimento in laguna di interessanti manufatti in legno di varie dimensioni, alcuni dei quali sorretti da pali messi in croce. Sostanzialmente sono tronchi di legno scavati internamente, con un lato troncato e l'altro affusolato.
Il più grande dei manufatti di questo genere è stato trovato in un canale a tre metri di profondità, presso l'isola di S. Cristina, nel Bacino settentrionale della Laguna di Venezia e attualmente si trova custodito presso il Museo Storico Navale di Venezia, in una apposita vasca riempita con acqua per impedire che si deteriori: è lungo m 3,10 con una larghezza massima di cm 75 ed una profondità interna finale di cm 30. A 70 centimetri dal lato troncato perpendicolarmente all'asse longitudinale presenta sul fondo un foro quadrangolare, passante, di mm 125 di lato, in cui vi era (infilata per il codolo e disposta trasversalmente) una paratia, leggermente asimmetrica, sagomata in modo da seguire il contorno della sezione interna del manufatto.
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Esternamente il legno aveva ancora tracce della corteccia.
Si ritiene che questi tronchi appartengano all'epoca romana, in quanto sono stati rinvenuti associati a materiale romano, recuperato spesso in notevole quantità.
Il monoxile di S. Cristina, inoltre, è stato sottoposto da ricercatori del C.N.R. a datazione con il metodo del radiocarbonio, ottenendo una età di 1900 + 200 anni,analoga alla ceramica recuperata.
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Non si sa invece a cosa potesse servire. Come ipotesi di lavoro si può parlare di un uso idraulico, forse legato alla agricoltura o a qualche mulino o salina; un dato che comunque sembra essere sempre costante nel rinvenimento di tali manufatti è la loro disposizione obliqua rispetto al canale in cui vengono trovati.
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