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Le piroghe dell'Oglio

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 testo di Raffaella Gerola
pubblicato, su "Veneto Archeologico" nel numero 109 - anno XXI marzo-aprile del 2005

Per gentile concessione del Direttore Responsabile Adriana Martini

 

Quando parliamo di piroghe, di solito pensiamo agli scafi usati dagli abitanti dei mari del Sud per spostarsi da un isolotto all'altro.

Verissimo, ma le piroghe non sono solo questo.

Con il termine piroga si intende uno scafo monossile, cioè ricavato da un unico pezzo di legno (un tronco d'albero, per intenderci), non necessariamente usato come imbarcazione.

Ed ora parliamo dei nostri scafi.

Dieci-quindici anni fa vennero ritrovate sette piroghe in diverse zone del fiume Oglio, nel Cremonese, in mezzo alla rete costituita da canali e vie di navigazione che per secoli erano stati le principali vie di comunicazione e di trasporto merci, non soltanto nella pianura Padana.

Queste piroghe, che l'analisi al carbonio 14 ha datato all'alto Medioevo (si tratta in verità di un periodo abbastanza ampio di tempo, compreso tra il VI e il X secolo d.C.), erano in buone condizioni grazie al fango che le aveva ricoperte per tanti secoli e ne aveva impedito la distruzione; trasportate nel laboratorio di restauro della Soprintendenza Archeologica di Milano, esse furono sottoposte a un lungo restauro, che continua ancor oggi, per permettere di stabilizzarne lo stato di conservazione.

Ricordiamo infatti che il legno è un materiale che si conserva solo in determinate condizioni: come tutti i reperti delicati, una volta tolto dall'ambiente che lo ha preservato dalla decomposizione dovrebbe essere soggetto a un accurato restauro conservativo prima di poter essere esposto al pubblico.

Il recupero delle piroghe è stato suddiviso in tre fasi.

Dapprima si è proceduto alla pulitura, vale a dire alla rimozione di fango, sassi e terra dalle pareti lignee. Successivamente le piroghe sono state immerse in vasche riempite di una soluzione di acqua e PEG (un polimero termoplastico che lentamente impregna le fibre del legno, sostituendosi alle molecole d'acqua). Infine, gli scafi sono entrati nella fase di essiccazione, non ancora terminata, che è in ultima analisi la più delicata.

In questi anni è stato anche possibile studiarne la struttura e la tecnica costruttiva. Lunghe circa 7 metri l'una, le piroghe furono costruite in modo pressoché identico, senza l'utilizzo di chiodi metallici, scavando un tronco di quercia fino ad ottenere un imbarcazione con fondo e fianchi piatti, con le estremità arrotondate o a becco.

Una tipologia di costruzione tipica dell'area padana, zona in cui solitamente queste piroghe erano usate per il trasporto a traino da riva o per collegare la sponda con le imbarcazioni più grandi che non potevano attraccare e rimanevano quindi nella parte mediana o centrale del fiume.

Per le piroghe dell'Oglio è però stata fatta un'altra ipotesi, altrettanto suggestiva e probabilmente più valida

Si è infatti ipotizzato che esse venissero utilizzate come galleggianti per sostenere una struttura ed eventualmente permetterle di muoversi sull'acqua: pensiamo ai mulini galleggianti o ai ponti di barche, relativamente veloci da approntare.

Senza tornare tanto indietro nel tempo, lungo le rive del fiume Po i mulini galleggianti erano ancora presenti all'inizio del secolo scorso, tanto che vi è il progetto di ricostruirne uno da parte del Museo del Po di Revere, in provincia di Mantova.

Delle sette piroghe ritrovate nell'Oglio, due sono state spostate al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano; di queste due, una è stata esposta, nel padiglione aeronavale (quello, per intenderci, dove sono conservate la goletta Ebe e la prua della Stella Polare, la nave rompighiaccio con cui il Duca degli Abruzzi tentò la conquista del Polo Nord)

In teoria, la vetrina che la custodisce dovrebbe permettere il processo di essiccazione, fondamentale per la buona conservazione del reperto. In pratica, la piroga è esposta in condizioni assolutamente precarie, cosa di cui anche un profano può rendersi conto con un breve esame; supporti sbagliati, vetrina inadeguata, aria dimessa e polverosa.

Pare che a breve la situazione possa migliorare. Speriamo.

 

 

LE PIROGHE IN ITALIA

Oltre al già citato Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, in Italia vi sono altri musei che ospitano piroghe lignee di varie epoche.

Ricordiamone solo alcuni:

- Museo delle Palafitte &emdash; Molina di Ledro (TN): piccolo ma celeberrimo museo dedicato al noto insediamento palafitticolo alpino dell'età del Bronzo, che tra i reperti ritrovati nel villaggio ed esposti nelle sue sale annovera anche una piroga

- Museo Civico Archeologico della Valle Sabbia - Gavardo (BS): museo locale che conserva reperti archeologici provenenti dalle località vicine e dal lago di Garda , tra di essi vi è una piroga dell'età del Bronzo ritrovata nella torbiera del lago Lucone, presso Polpenazze, prosciugato tra il XV e il XVIII secolo

- Museo Archeologico Nazionale - Ferrara: il museo conserva i materiali della necropoli di Spina e i materiali provenienti dalle valli di Comacchio, tra cui una piroga della tarda età del Bronzo

- Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico "L. Pigorini" - Roma: nella sezione preistorica sono esposti i materiali del più antico insediamento neolitico europeo lacustre ritrovato finora, vale a dire l'insediamento di località La Marmotta, ad Anguillara, sul lago di Bracciano. Tra i materiali esposti troviamo la cosiddetta "piroga della Marmotta", ricavata da un tronco di quercia e lunga più di 10 metri, che risale a circa 8000 anni fa

 

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