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Il rilevamento in archeologia subacquea

di Antonio Rosso

da "Archeosub" Gli Speciali di Sub - anno VIII - giugno 1991 - pp. 82-90

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E' stato scritto: "Se l'interesse per le cose del passato è vecchio quasi quanto l'uomo, se la scienza dell'età moderna trova un inizio ufficiale, preceduto da fondamentali contributi di secoli, in alcune opere di Galileo, l'Archeologia è scienza giovane.

La scoperta e la raccolta di oggetti antichi è cosa ben diversa dalla moderna scienza archeologica.

Lo stato d'animo con cui l'archeologo professionale si avvicina a un deposito è di modestia nei confronti dello stesso.

Quello che si è conservato, magari per migliaia di anni, viene distrutto, demolito dall'operazione di scavo.

Di qui là necessità di registrare tutto nei dettagli in quanto è necessario capire cosa è successo, come si è formato il deposito, in che relazione si trova ogni singolo reperto con tutto quanto lo circonda".

 

Il rilevamento è, dunque, la differenza tra scoprire e raccogliere oggetti antichi e fare scienza archeologica.

Con questo termine, soprattutto nelle scienze della terra, si intende comunemente raggruppare quelle operazioni che permettono di mappare e raffigurare delle caratteristiche del terreno e viene usato per indicare indifferentemente un rilevamento geologico, stratigrafico, batimetrico, magnetico, termico, topografico.

L'archeologo, invece, intende il rilevamento solo come il complesso delle operazioni atte a determinare gli elementi necessari alla rappresentazione topografica di una certa zona del terreno, considerando i reperti come parte integrante, definendo come "prospezioni" le altre operazioni sul terreno, a prescindere dal fatto che portino alla stesura, o meno, di vere e proprie cartografie tematiche.

Tali concetti sono validi anche per le operazioni di rilevamento subacqueo che dovranno, pertanto, essere completamente disgiunte dalle eventuali fasi di prospezione che generalmente accompagnano ogni campagna e saranno finalizzate a dare una rappresentazione il più fedele possibile di quanto si trova sul fondale sia al momento del rinvenimento sia durante lo scavo.

Al rilevamento spetta, infatti, documentare quanto andrà irreparabilmente distrutto.

La forma più rapida per realizzare la pianta di un sito al momento del ritrovamento o per documentare l'evoluzione dello scavo è l'impiego del mezzo fotografico.

Non è sufficiente pensare a un "fotomosaico": le foto devono essere scattate da altezze note, con parametri ben definiti e le stampe esenti da distorsioni.

Per dire di avere eseguito un rilevamento fotogrammetrico non è sufficiente unire la parte centrale delle foto e mostrare il collage del sito o del relitto.

Manca infatti ogni possibilità di ricavare la reciproca disposizione spaziale degli oggetti fotografati.

Coppie di fotografie scattate con strumentazioni specifiche consentono, invece, la restituzione immediata in laboratorio, non solo della pianta, ma anche dell'altimetria, con metodi analoghi a quanto viene eseguito con l'aerofotogrammetria: nessun topografo va oggi in campagna a rilevare la topografia di una regione, se ci va lo fa per ragioni particolari o per controlli.

E facile capire che disporre di simili attrezzature, quando si opera su vaste aree in ambiente subacqueo, è possibile solo a livello di grosse società o di Centri nazionali di ricerca in quanto è necessario avere dei mini sommergibili come l'Asheraht usato per la fotogrammetria del relitto di Yassi Ada compiuto ancora nel lontano 1967 da Bass o, almeno, delle unità mobili.

Nel caso di aree ristrette, come un relitto, invece, è possibile utilizzare dei supporti metallici relativamente semplici e usare due fotocamere subacquee o adoperare coppie di fotografie spostando ogni volta l'apparecchio a distanze note e costanti.

Si stanno affacciando, tuttavia, alcune nuove tecnologie che sono operativamente semplici, ma sofisticate nell'elaborazione dei dati: è il caso del TV-Trackmeter sistema sperimentale della Tecnomare, realizzato in collaborazione con Agip, Ansaldo, Saipem, Enea, che può operare fino a 300 metri di profondità e che può essere collegato a unità mobili filoguidate o autonome come i vari Filippo, Pluto eccetera.

Già in funzione a Sirmione, sul lago di Garda, in un cantiere dello Stas (Servizio tecnico per l'archeologia subacquea del Ministero Beni Culturali e Ambientali), un'attrezzatura di rilevamento per punti composta da quattro unità fisse, un trasduttore mobile collegato tramite filo alla unità di base che fa capo a un computer in grado di elaborare direttamente il segnale emesso in immersione tramite un pulsante, calcolarne la posizione assoluta rispetto ai punti fissi e rappresentarla graficamente tramite un plotter.

Una volta perfezionata, in questo modo, si potrebbe ottenere l'immediata restituzione in scala, su carta, di un reperto o di una struttura semplicemente seguendone i contorni mantenendo premuto il pulsante emettitore.

Numerosi sono gli elementi da prendere in esame per la scelta di tecniche e mezzi: innanzitutto il grado di precisione che si vuole ottenere; non meno decisivo può rivelarsi il fattore tempo: la durata di un cantiere può far preferire un metodo ad un altro, indipendentemente dal costo.

Ultimo aspetto da prendere sempre in considerazione: l'importanza del sito e le finalità che ci si prefigge da un suo studio.

Rispetto a qualche anno fa un salto di qualità è stato sicuramente fatto grazie al sempre più diffuso uso dei computer per le operazioni di calcolo, per l'archiviazione dei dati e per la restituzione grafica, a parità di metodi e di semplici attrezzature.

Se saranno disponibili più programmi specifici dedicati a queste operazioni, probabilmente questo potrà essere un elemento vincente, per evidenti ragioni di costo, nella scelta di mezzi operativi semplici sulle attrezzature sofisticate.

Già in occasione del rilevamento del Mary Rose si è fatto uso di semplici misure lineari prese con cordelle metriche e di un computer per poter risolvere i sistemi di equazioni necessari a calcolare rapidamente tutte e tre le coordinate.

È importante usare mezzi sofisticati solo dove esistono uomini e situazioni che lo richiedono.

La gran parte dei casi in cui ci si imbatte sono interventi d'emergenza, prospezioni non esaustive che si devono eseguire rapidamente, in ambienti difficili, con scarsa visibilità.

La necessità di eseguire in fretta le mappe di rischio dei territori sommersi non consente attese.

Raramente si ha la necessità di rilevare in mare aperto, su aree molto ampie o a profondità superiori a 60 metri; nella maggior parte dei casi si opera a profondità minori, su cantieri in riva a un lago, in lagune poco profonde e su aree di poche decine di metri quadrati.

In questi casi possono essere usati vantaggiosamente metodi che sono alla portata di molti.

Per questo è importante che le tecniche elementari di rilevamento vengano rese note a tutti i subacquei: ciò consentirebbe di avere del personale preparato ad affrontare una emergenza in ogni spiaggia e in ogni località.

Vediamo quali metodi di rilevamento è possibile utilizzare, escludendo il più semplice, quello visivo.

Infatti, se a volte è stato possibile realizzare delle piante con degli schizzi a vista molto fedeli, soprattutto se legati ad aree molto ben delimitate, ciò è avvenuto perché gli operatori erano dei buoni disegnatori con esperienza delle distanze in acqua, spesso aiutati da sagole ben tese o reticoli rigidi di riferimento.

In acque relativamente poco profonde si continua a utilizzare con successo il teodolite con distanziometro elettronico a raggi infrarossi, avendo sostituito la tradizionale stadia con un opportuno riflettore montato su supporti galleggianti.

In pratica solo i subacquei con il riflettore operano in immersione, mentre il topografo opera a terra su almeno un punto fisso (chiamato punto di stazione); il collegamento avviene a vista", ma un radiotelefono subacqueo rende semplice il dialogo ed evita molti errori.

Questo metodo viene utilizzato su siti archeologici dell'Età del bronzo, sulle rive dei laghi come Viverone, dove continuano annuali campagne di ricerca della Soprintendenza archeologica del Piemonte, sul Lago di Garda, dove lo Stas in collaborazione con le Soprintendenze archeologiche della Lombardia e del Veneto sta procedendo alla mappatura di tutti i siti conosciuti, a Lazise nel cantiere di La Quercia, dove il Museo civico di Storia naturale di Verona ha, da otto anni, iniziato il rilevamento e lo scavo di una palafitta dell'età del bronzo, nel lago di Mezzano, a nord di Bolsena, nella costa laziale, a Baia o in altri casi dove le strutture possono essere rese evidenti in superficie.

Con un buon distanziometro, in assenza di forti venti o correnti, si riescono ad avere precisioni dell'ordine di pochi centimetri, come è stato documentato a La Quercia, ripetendo determinate misurazioni a distanza di anni.

Con un appropriato aumento del numero dei prismi riflettenti si può arrivare anche a "battere" punti situati a oltre quattro chilometri di distanza; con un solo prisma si arriva a uno-due chilometri.

In alcuni paesi nordici si è usato con successo un raggio laser.

Nel caso ci si trovi lontani da riva non è possibile usare tale metodo ed è necessario eseguire ogni fase in immersione con tecniche diverse.

Fondamentali sono la scelta di cosa si vuoi fare, rilevamento di dettaglio o speditivo, e il grado di precisione che devono avere; l'alternativa condiziona anche il tipo di strutture che dovranno essere poste in opera nel cantiere subacqueo.

Oltre a sapere come si usano le strumentazioni è sempre utile conoscere le basi del rilevamento e le tecniche elementari di rilevamento subacqueo.

Per poter operare nel campo subacqueo e saper eseguire correttamente un rilevamento topografico subacqueo è necessario per prima cosa conoscere gli elementi della cartografia.

Questa non solo è utile quando bisogna "fare il punto", ma consente, in fase organizzativa, di programmare in maniera ottimale le immersioni e avere una conoscenza più ampia dell'area di lavoro, in quanto permette di "leggere" tutta la documentazione cartografica che si ritrova in un cantiere, spesso composta da numerose carte topografiche in scale diverse e con concetti tematici differenti.

Altrettanto chiaro deve essere il concetto di "capisaldi", detti anche "punti fissi", che servono da base per rilevarne altri e devono durare nel tempo.

Quando, a seguito di un rinvenimento fortuito o di una ricerca, viene individuato un reperto o un sito, diviene necessario determinare il luogo di posizione.

Ciò può essere necessario per due motivi: uno, per situare il punto su una carta topografica; due, per poterci successivamente ritornare.

I metodi cambiano e sono diversi a seconda che ci si trovi in prossimità di una riva, al largo con la costa visibile oppure al largo senza alcun punto di riferimento visibile.

Nel primo caso lo scopo è riportare la posizione sulla carta in quanto per ritrovare il punto è possibile fare affidamento su specifici segnali lasciati sulla terraferma e pertanto si usano i metodi topografici tradizionali quali l'intersezione angolare.

Nel secondo caso, se sono disponibili degli allineamenti con punti cospicui, come case o campanili, oppure si possiede (ieri il Loran - oggi) il GPS, il problema è risolto, altrimenti per posizionare il punto sulla carta si può usare il metodo dei cerchi capaci o usare il radar; per ritornare sul punto possono essere utilizzate l'intersezione di due rette di rilevamento determinate con la bussola o contemporaneamente due dei sistemi visti prima. Al largo è possibile fare il punto con il già citato Loran (oggi la rete Loran non è più in uso), il satellitare, il radar e il radiogoniometro.

Per ritornare sul punto la soluzione più pratica, dopo l'uso del GPS, consiste nello stimare anche approssimatamente il punto, ma lasciare sul posto un pinger subacqueo che emetta un segnale di frequenza nota, che potrà essere seguito, una volta che si è arrivati nei pressi, con un rilevatore direzionale che completa l'equipaggiamento, fino ad arrivare sulla verticale.

Per quanto riguarda i metodi di rilevamento, questi possono dividersi in quelli che adoperano le coordinate cartesiane (X, Y, Z) per definire un punto nello spazio (quadrettatura, trilaterazione) e quelli che utilizzano le coordinate cilindriche, dove, alle coppie di numeri raffiguranti distanze o direzioni, si sostituiscono la distanza e un valore angolare misurato su una retta che rappresenta l'asse di riferimento (irradiazione).

Facile da usare è il metodo del "rilevamento diretto" che consiste nel rilevare un sito mediante fogli trasparenti di plexiglas o in acetato.

Questi fogli sono appoggiati sui reperti, i quali vengono ricalcati direttamente in scala 1:1 con matite grasse o dermografiche, seguendone fedelmente i contorni.

Tale sistema è utilizzato con vantaggio in giacimenti a superfici piane e con densità di reperti elevata; consente una notevole precisione e può essere un sistema veloce, anche per aree relativamente ampie, qualora gli operatori possiedano abilità grafiche.

In qualsiasi condizione, per eseguire un rilevamento subacqueo, è sufficiente un numero esiguo di attrezzature: galleggianti, boe, picchetti ed etichette per identificare i punti o i reperti; sagole di vari colori, cordelle metriche, metri rigidi o snodati (tipo da falegname) per le misure di distanze; squadre e goniometri per misure angolari; bussole per la determinazione delle rette di direzione; profondimetri per le misure di profondità (ottimi quelli digitali); ecclimetri o inclinometri per rilevare le inclinazioni dei reperti o delle strutture; tavolette con fogli di plastica e matite per scrivere i dati o disegnare.

Completano l'attrezzatura una livella a bolla d'aria, qualche metro di tubo flessibile in plastica, una stasa da cantiere e una fotocamera subacquea equipaggiata con flash, obiettivo grandangolare e pellicole di varia sensibilità; si lavora normalmente con 400-800 Iso e, eccezionalmente con pellicole a bassa sensibilità.

L'ambiente di lavoro è il fattore che maggiormente condiziona la scelta del tipo di rilevamento da eseguire.

La profondità è il primo dato da considerare, non solo per i noti problemi di sicurezza e di durata delle immersioni, quanto perché al variare della profondità variano le risposte psicofisiche del subacqueo.

Una semplice operazione a 5-10 metri, eseguita a 30-35 metri richiede molta più concentrazione e più tempo; a profondità superiori l'esperienza insegna che solo individui allenati e assuefatti possono compiere lavori di rilevamento con operazioni di scrittura di dati o disegni.

In linea generale dai trenta metri in giù è necessario semplificare veramente tutto e standardizzare ogni operazione.

Altri elementi che condizionano la scelta di un rilevamento sono la visibilità e il grado di trasparenza delle acque.

Le misure si possono prendere rapidamente in ambiente con buona visibilità e in cui ci si sposta facilmente da un punto all'altro; in scarsa visibilità è necessario, invece, fare misure più brevi, disporre di molti più capisaldi e avere sempre dei fili d'Arianna o delle strutture fisse per orientarsi.

È intuitivo che l'impiego di mezzi fotografici sarà possibile in condizioni ottimali di limpidezza, mentre sarà necessario usare solo mezzi semplici con cordelle metriche e bussole negli altri casi.

In queste circostanze l'impiego di strutture fisse, se correttamente posizionate, aiuta molto ma rende, tuttavia, necessario un cantiere di durata considerevole.

La situazione del rilevamento subacqueo è in continua evoluzione e le prospettive sono assai incoraggianti, ma il tempo non concede soste: ciò che è lasciato è perso, soprattutto nel campo dell'archeologia subacquea.

Se svolgere ricerche archeologiche subacquee richiede un adattamento umano e tecnico in qualunque ambiente si operi, ciò è particolarmente vero negli ambienti di transizione quali sono le lagune dove si incontrano condizioni particolari e gravose.

In primo luogo, a causa del materiale in sospensione, le ricerche e i rilevamenti avvengono in condizioni di visibilità estremamente ridotta (da 20 a 50 centimetri).

A ciò si sopperisce creando un cantiere subacqueo particolare, con strutture rigide e mobili che formino dei veri e propri percorsi guida usando tecniche specifiche, ma soprattutto procedendo con metodo, posizionando numerosi capisaldi subacquei e passando da un settore a quello successivo solo dopo aver definito completamente il precedente.

Infatti il collegamento di un settore già rilevato con il successivo, ancora da esaminare, comporta molta attenzione in un ambiente a bassa visibilità, in quanto non si ha mai una visione d'insieme dell'area di studio se non sulla pianta rilevata.

Ne consegue che l'organizzazione del gruppo è molto importante ed è necessaria una accurata programmazione perché certe operazioni possono essere effettuate in tempi ristrettissimi: ad esempio, solo quando l'acqua diventa più limpida, verso il culmine del crescente, prima che inizi la marea calante.

In tale contesto anche l'esecuzione di fotografie richiede particolari soluzioni tecniche, come l'impiego di strutture tronco piramidali in plexiglas riempite di acqua limpida, che vengono interposte tra la macchina fotografica e l'oggetto.

Un altro problema è dovuto al non poter contare su punti di riferimento stabili nel tempo a causa del continuo pericolo che essi vengano portati via dagli attrezzi usati per la pesca a strascico, ancor oggi frequente in laguna, oppure che si perdano per cause naturali, come nel caso di ricerche su aree molto ampie, che richiedono immersioni distribuite in un lungo arco di tempo.

Non di rado infatti si sono riscontrati movimenti dei sedimenti del fondo che, da un anno all'altro, hanno ricoperto zone precedentemente scoperte.

A questo si aggiungono le normali difficoltà nel trovare il giusto assetto in presenza delle correnti di marea, che raggiungono, in molti punti, valori di velocità superiori anche a un metro al secondo, e di dover spesso lavorare in condizioni climatiche avverse poiché i mesi migliori sono quelli invernali.

 

  

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