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Geologia ed archeologia subacquea
di Antonio Rosso
pubblicato su "VENETO GEOLOGI" 1997 Luglio-Settembre (1a parte). e ottobre-dicembre (2a parte) e, con altra impostazione e taglio, su Archeologia Viva" nel numero 45 nuova serie di Maggio-Giugno del 1994
1a parte
Spesso viene chiesto quale possa essere il ruolo del geologo nel campo dei beni culturali e, in particolare, di un geologo subacqueo con conoscenze di sedimentologia e prospezioni marine.
Il geologo già presente negli scavi preistorici e protostorici compare ora sempre più spesso anche nei cantieri terrestri di età classica e medievale.
Il medesimo fenomeno si riscontra anche nella ricerca subacquea.
Le osservazioni geologiche, lo studio stratigrafico e sedimentologico forniscono, infatti, un contributo essenziale alla conoscenza della formazione e dell'evoluzione di un sito archeologico.
Ciò è dovuto al cambio di mentalità che si è verificato in questi ultimi anni nell'archeologia anche subacquea.
La conseguenza è stata, in primo luogo, di superare la fase di recupero tout-court, per privilegiare il rilevamento e la documentazione e, secondariamente, di creare un diverso contesto operativo e di usare metodi che si sono sempre più avvicinati a quelli delle scienze naturali e fisiche.
Tutto ciò ha comportato nuove metodologie di lavoro e l'impiego di differenti tecniche che si sono riflesse soprattutto nelle fasi operative: ricerca, prospezione, rilevamento e scavo.
Per prima cosa è stato possibile utilizzare anche in campo archeologico i sofisticati strumenti che lo sviluppo delle tecnologie subacquee, legate allo sfruttamento economico delle risorse marine, aveva portato a creare.
Il geologo marino è così diventato una figura complementare dell'archeologo, in particolare quando egli stesso è un subacqueo esperto.
Ma, cosa serve uno studio geologico?
Attraverso le prospezioni geofisiche consente di individuare nuovi siti o giacimenti archeologici sepolti sotto i sedimenti, riconoscere successioni stratigrafiche, elementi morfologici, eseguire il rilevamento delle unità litologiche presenti e fare i campionamenti per le analisi di laboratorio.
Con uno studio sedimentologico si viene a conoscere l'area di provenienza dei sedimenti, l'evoluzione del giacimento nel tempo e le condizioni climatiche in cui si è sviluppato, l'energia ambientale di deposizione.
Procediamo con ordine.
In questa prima parte si vedrà di illustrare in modo semplice ciò che può essere fatto sul terreno, mentre in una seconda parte ciò che si può realizzare in laboratorio.
Fasi di studio
Nello studio geo-archeologico di un giacimento subacqueo si possono distinguere varie fasi successive.
1) Prospezioni visive e strumentali sull'area dell'insediamento e dell'ambiente circostante.
2) Osservazioni sullo scavo.
3) Analisi di laboratorio dei campioni prelevati
4) Elaborazione e confronto dei dati stratigrafici e sedimentologici ottenuti in laboratorio con quelli raccolti durante lo scavo.
5) Interpretazione dei dati per la ricostruzione crono-stratigrafica e climatica del deposito
6) Correlazioni e confronti con altri depositi presenti nella stessa area geografica ed inserimento del giacimento nel contesto geografico e geologico regionale.
Lo studio di una conoide fluviale che si è sovrapposta nel tempo ad un villaggio palafitticolo comporta tecniche ed analisi differenti da quelle che si applicano ad un sito localizzato sul fondo di un fiume o su un relitto in mezzo al mare, ma il metodo generale di riferimento rimane invariato.
1.0 Prospezione
Le strumentazioni più usate sono il magnetometro a protoni e l'ecografo, apparecchiature nate per altri scopi ma utilizzate con vantaggio in archeologia.
In ogni caso una volta verificata una anomalia questa va controllata in immersione, di persona o con telecamere.
Il magnetometro a protoni di tipo differenziale permette di rivelare la presenza di anomalie magnetiche.
Un relitto con il suo carico, ad esempio, provoca una di queste anomalie.
L'ecografo, invece, permette di ottenere il profilo batimetrico del fondale e quindi individuare i resti di quanto emerge dal fondo.
Attraverso un trasduttore (l'unità che invia e riceve i segnali nell'acqua) viene inviato verso il fondo un fascio di onde ad ultrasuoni.
Ogni impulso riflesso dal fondo viene captato dal sensore e, poichè il tempo intercorso tra l'emissione e la ricezione, è direttamente proporzionale alla profondità elaborando i dati ricevuti e traducendoli in forma grafica con un apparato scrivente si ha il profilo del fondo in tempo reale.
Nella ricerca archeologica si utilizzano tre apparecchi differenti.
1) Il sonar o ecoscandaglio ad ultrasuoni che utilizza generalmente frequenze di 200 KHz e che consente di visualizzare la superficie del fondale.
2) il "sub bottom profile" un'ecografo, che lavora ad una minor frequenza (30-50KHz o anche meno) in modo da penetrare nei sedimenti e ottenere sia la sezione del fondale esplorato che delle strutture sepolte in essi.
3) il "side scan sonar", chiamato anche sonar laterale, un'ecografo scrivente il cui trasduttore, a traino dell'imbarcazione, invia i segnali lateralmente, a destra e a sinistra e consente di visualizzare il fondale mediante strisciate larghe anche 200 metri. I diagrammi ottenuti sono, tuttavia, di più difficile interpretazione rispetto ai due metodi precedenti.
Per eseguire indagini preliminari di interpretazione geo-morfologica o per la visione diretta di siti subacquei vicini alla costa e su bassi fondali, vengono usate, invece, le fotoaeree.
2.0 Studi sul fondale
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Una indagine geologica e geomorfologica preliminare dell'area permette di raccogliere importanti elementi per comprendere l'ambiente di formazione del deposito ma sono soprattutto le osservazioni condotte direttamente in immersione sul sito, durante lo scavo, che permettono uno studio completo.
E' in questa fase che si eseguono sezioni stratigrafiche dettagliate e la relativa documentazione grafica e fotografica.
Durante lo scavo viene effettuato un rilevamento, livello per livello, di ciascun elemento sedimentologico e annotata ogni osservazione su apposite schede.
Va raccolta ogni informazione di ordine stratigrafico, dai dati inerenti alla granulometria dei depositi, alle indicazioni di strutture sedimentarie con annotazioni su fenomeni di deformazione plastica e su variazioni laterali di facies sedimentarie.
Al termine di ogni indagine si procede al campionamento sistematico dei sedimenti.
Un carotaggio può, comunque, sostituire solo in parte una buona sezione "in situ".
Una carota fornisce campioni limitati ed anche alcuni campioni sono spesso insufficienti per comprendere la dinamica evolutiva di un sito.
E' necessario porre molta attenzione durante il carotaggio: i livelli durante la raccolta e l'estrazione della carota possono facilmente venire disturbati, con conseguente perdita di informazioni.
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2a parte
Nella prima parte di questo tema si è cercato di illustrare in modo semplice ciò che può essere fatto sul terreno. In questa seconda parte verranno descritti alcuni casi di ciò che si può realizzare in laboratorio.
In laboratorio non è necessaria la presenza di un geologo che sia anche subacqueo, ma l'esperienza insegna che sia lo stesso professionista che ha visto il sito e che ha prelevato i campioni a condurre o seguire direttamente anche le altre analisi.
Per memorizzazione riportiamo nuovamente la sequenza operativa: siamo ai punti 3-4. I restanti aspetti (punti 5-6) sono in funzione delI'incarico ricevuto e non sempre sono richiesti dal committente.
1) Prospezioni visive e strumentali sull'area dell'insediamento e dell'ambiente circostante.
2) Osservazioni sullo scavo.
3) Analisi di laboratorio dei campioni prelevati
4) Elaborazione e confronto dei dati stratigrafici e sedimentologici ottenuti in laboratorio con quelli raccolti durante lo scavo.
5) Interpretazione dei dati per la ricostruzione crono-stratigrafica e climatica del deposito
6) Correlazioni e confronti con altri depositi presenti nella stessa area geografica ed inserimento del giacimento nel contesto geografico e geologico regionale.
3.0 Analisi di laboratorio
In laboratorio si eseguono numerose analisi, ma principalmente
- analisi granulometriche
- analisi mineralogiche
- analisi chimiche e geochimiche
- analisi morfometriche e morfoscopiche
- analisi paleontologiche
3.1 Analisi granulometriche
Lo studio granulometrico dei sedimenti permette di riconoscere l'energia ambientale del sito.
Di norma si preleva un campione di circa un chilogrammo per ciascun livello in modo da avere una colonna stratigrafica completa da analizzare in laboratorio.
Se sono presenti elementi grossolani la quantità viene aumentata anche di dieci volte.
La classificazione granulometrica avviene attraverso la misurazione del diametro delle particelle, la loro suddivisione in classi ed il loro reciproco rapporto percentuale.
A tale scopo si usano setacci con maglie calibrate. Per le frazioni più fini, come i limi e le argille si adoperano metodi densimetrici e metodi basati sulla separazione gravitativa con la misura della velocità di caduta delle particelle in un liquido disperdente o per diretto conteggio con speciali strumenti che in alcuni casi utilizzano anche il laser.
La più semplice classificazione granulometrica da ricordare è la seguente:
- Massi frammenti maggiori di 256 mm
- ciottoli (ghiaie) da 40 a 256 mm
- sabbie da 2 mm a 63µ (si legge micron, 1µ è uguale a un millesimo di millimetro)
- limi da 63µ a 4µ
- argille, le particelle con diametro inferiore a 4µ
3.2 Analisi morfometriche e morfoscopiche
Le analisi morfometriche consistono in un esame metrico, vale a dire l'analisi e la quantificazione della forma, mediante parametri ed indici di ciottoli o sabbie.
Si valuta così il loro grado di arrotondamento, di appiattimento, di smussamento e dissimetria per avere indicazioni sulla provenienza dei granuli.
Le analisi morfoscopiche, invece, consistono in un esame visivo della loro superficie, alla ricerca di tracce o segni particolari che permettano di valutare se i granuli sono stati trasportati per effetto eolico, per ruscellamento, o se hanno subito fratturazioni per fenomeni di gelo e disgelo
L'esame è eseguito al microscopio ottico o al microscopio elettronico a scansione.
3.3 Analisi petrografiche e mineralogiche
Generalmente gli strati sono formati da sedimenti sciolti e incoerenti, ma a volte successivi processi chimico fisici di natura climatica producono profonde trasformazioni strutturali con la formazione di strati rocciosi compatti.
La determinazione della composizione litologica dei sedimenti consente di definire la loro area di provenienza, soprattutto se si tratta di sabbie in quanto ogni fiume ha un ben definito bacino di provenienza.
Gli esami sono condotti con l'aiuto di una lente d'ingrandimento o di un microscopio.
In casi particolari vengono eseguite, per successivo assottigliamento, delle "sezioni sottili" in modo da esaminare, per trasparenza e a forti ingrandimenti, i minerali. In altri casi si fanno delle "sezioni lucide" (dette così perché vengono lucidate in modo da far riflettere la luce) per esaminare i minerali opachi sotto un miscroscopio a luce riflessa.
In altri casi il materiale viene frantumato e polverizzato, quindi sottoposto su di una speciale apparecchiatura (Diffrattometro) a un flusso di Rx. I vari minerali presenti compaiono sulla carta come picchi di diversa altezza che vengono riconosciuti mediante confronto con speciali tavole.
Si possono sottoporre ad esame chimico o mineralogico anche ceramiche o reperti, ma generalmente essi non sono di pertinenza del geologo marino, essendo prima esaminati e schedati dall'archeologo e solo successivamente inviati ai laboratori per le analisi.
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3.4 Esame geochimico
Con l'analisi chimica si determinano le percentuali degli elementi chimici che formano il sedimento. Si usano generalmente particolari e sofisticate apparecchiature come l'assorbimento atomico o lo spettrometro a Rx.
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Per determinare l'ambiente di deposizione e la sua evoluzione nel tempo (ossidante se ricco di ossigeno o riducente se privo) si misura il potenziale di ossido-riduzione. Si calcola anche la misura della percentuale della materia organica presente, del pH (che esprime l'acidità del sedimento) e della percentuale di residuo insolubile dopo attacco con acido cloridrico.
Analisi che consentono di distinguere, soprattutto nei depositi lacustri, quali sedimenti sono di origine autoctona (cioè generati in posto) e quali alloctona (trasportati da altre zone).
3.5 Esame paleontologico
Mediante l'analisi e la determinazione dei resti animali o vegetali, in particolare molluschi, foraminiferi, pollini, si riesce a comprendere l'ambiente e il clima del livello che si sta esaminando.
Con tali informazioni si arriva all'elaborazione di tavole cronologiche climatiche che vanno affiancate a quelle stratigrafiche.
4.0 - 5.0 - 6.0 Elaborazione dei dati e loro interpretazione
In primo luogo si confrontano i dati ottenuti in laboratorio con le osservazioni eseguite sul sito, affinche non ci siano contraddizioni che richiedano ulteriori esami (4.0)
Successivamente si passa alla loro interpretazione, qualora richiesta, per la ricostruzione crono-stratigrafica e climatica del deposito (5.0).
Si completa, quindi, lo studio con correlazioni e confronti con altri depositi presenti nella stessa area geografica, inserendo il giacimento nel contesto geografico e geologico regionale (6.0).
IN LIBRERIA
Nel volume di G. Devoto dal titolo "Geologia applicata all'archeologia" sono indicati i punti di utilizzo della disciplina geologica nel campo archeologico.
Il volume è, tuttavia, insufficiente per l'uso pratico in un cantiere subacqueo in quanto parla quasi prevalentemente di analisi di laboratorio, poco dell'opera sul campo, che nel caso dell'archeologia subacquea assume, invece, una parte preponderante.
Si parla dei materiali rocciosi e dei minerali; del riconoscimento morfoscopico delle gemme incise da cui si può risalire all'ambiente archeologico di deposizione, e della micromorfoscopia per le tecniche di lavorazione glittica.
Ci si sofferma sui metalli e leghe di interesse archeologico per poi passare alla geomorfologia in rapporto agli ambienti antropici.
Uno spazio è dato alla sedimentologia con l'esame delle varie strutture che si possono riconoscere nei sedimenti e le metodologie di laboratorio. Concludono il volume le analisi paleontologiche (animali e vegetali) usate nella ricerca archeologica e le analisi che si possono eseguire sui manufatti ceramici.
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