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La nave delle anfore (Relitto A o delle "tre senghe")
di Giorgio Mesturini
pubblicata su "AQVA " Marzo 2003 - pag. 132-133
Per gentile concessione del Direttore Responsabile
Era un'imbarcazione romana, affondata a 100 metri dalla costa dell'isola di San Domino nelle Tremiti, su un fondale a -25 metri dopo l'urto contro uno scoglio.
Gli archeologi ricevettero l'autorizzazione a procedere agli scavi nel 1981: trovarono contenitori di ogni tipo, anche per il vino novello
Il piccolo arcipelago delle Tremiti, a nord del Gargano, costituisce un gruppo di isole dall'importante valore storico ed archeologico, grazie ai resti medioevali dell'abbazia di Santa Maria, eretta sull'isola di San Nicola, ed anche per gli antichi relitti presenti nelle sue acque.
Infatti, le Tremiti costituirono da sempre un importante nodo commerciale per la navigazione antica, in particolare durante l'epoca romana.
La presenza di relitti nelle acque circostanti l'arcipelago era nota da molto tempo, ma solo nel settembre del 1980 fu autorizzato un primo sopralluogo che diede esito positivo.
Così, nell'estate del 1981 si svolse la prima campagna archeologica sul relitto romano detto "delle tre senghe" (fessure), situato su un fondo di 25 metri, a circa 100 metri dalla costa meridionale dell'isola di San Domino.
La scogliera in questo tratto di costa cade in modo deciso sino a -22 metri, per poi ridurre la pendenza andando a costituire un fondale piuttosto sabbioso.
Il relitto si trovava proprio su questo Pianoro e parte del carico dopo il naufragio scivolò fino agli scogli più esterni.
Quando iniziarono gli scavi, il tempo, la sabbia e le conchiglie avevano ricoperto e cementato tutta la parte superiore dello scafo e quindi il relitto appariva come un ammasso formato da due strati di anfore orizzontali fortemente concrezionate, ma sotto le quali se ne scorgevano molte altre.
La ricerca iniziò nella parte centrale del carico, allargandosi poi verso l'esterno e così, poco per volta, la massa concrezionata fu separata e i grossi blocchi di anfore furono riportati in superficie legandoli a palloni idrodinamici.
Dopo questa prima fase lo scavo è continuato utilizzando la sorbona, attrezzo adatto all'asportazione di sabbia, permettendo così di raggiungere e togliere anche le anfore degli strati inferiori fino ad arrivare allo scafo di legno.
Gli archeologi notarono che alle anfore mancava l'imballaggio che le avrebbe protette dagli urti e dal contatto diretto tra loro durante il viaggio.
Molte, infatti, presentavano tracce di usura e fori sulle pance e sui colli, dovuti allo sfregamento continuo durante la navigazione.
Tra gli esemplari rinvenuti, molti avevano i tappi di chiusura in terracotta a forma di disco, con un bottone di presa sulla parte superiore, spesso circondato da una leggera decorazione.
Furono recuperate 150 anfore, alte circa 95 centimetri con due tipi d'orlo e un puntale che poteva variare lunghezza secondo il modello; tutte di forma Lamboglia 2, eccetto due anse bifide di Dressel 4, ed un puntale di tipo greco-italico.
Molti di questi reperti presentavano, impresso sull'orlo del collo, un bollo rettangolare con in rilievo la sigla M.FVS, timbro che indicava il nome del costruttore dell'anfora.
Gli scavi furono sospesi durante l'inverno, per riprendere nell'estate 1982.
Durante questa nuova ricerca furono recuperate due particolari anfore Lamboglia, alte solo 43 centimetri.
La loro presenza a bordo testimonia che durante quel viaggio veniva trasportato anche vino novello come assaggio, particolarmente pregiato sulle mense imperiali.
Inoltre furono rinvenute anche anfore a fondo piatto e chiuse da un opercolo in argilla cruda con una incisione, H al centro e ROMAII in tondo.
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Tolti tutti gli strati di anfore, fu possibile raggiungere la chiglia, che mostrava una lunghezza di 5 metri, ed un'altezza di 28 centimetri per 27 di larghezza.
Il fasciame esterno era ben conservato e formato da tavole spesse quattro centimetri e ricoperto, fino alla linea di galleggiamento, da una sottile lamina di piombo fissata con chiodi di rame.
Grazie a tutti i reperti trovati, gli archeologi hanno potuto affermare che si trattava di una nave di piccolo cabotaggio, del I secolo a.C., adatta a trasportare circa 900 anfore.
Alcuni studiosi sono anche risaliti alle modalità del naufragio; la nave dovrebbe essere affondata di poppa, inclinandosi sul fianco verso ovest, a causa dell'urto sugli scogli.
L'impatto con il fondo, l'aveva aperta in senso longitudinale, disperdendo parte del carico.
Terminato lo scavo, tutti i reperti e le anfore furono trasportate nel castello dell'isola di San Nicola con il giusto proposito di creare in tempi brevi un museo archeologico.
Ma il museo ancora non ce.
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