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Il relitto di Gnalic'
Una testimonianza dei traffici veneziani alla fine del Cinquecento
di Carlo Beltrame
pubblicato su "L'archeologo subacqueo" anno IX, n. 3 - Settembre
Dicembre 2003 - pp. 10-14
Per gentile concessione dell'autore
I relitto dello scoglio di Gnalic', distante un paio di miglia dalla cittadina da Zaravecchia, l'attuale Biograd, è uno dei giacimenti sottomarini meno noti e, allo stesso tempo, più interessanti del Mediterraneo.
L'importanza del relitto è data non solo dalla quantità e qualità della merce e dell'artiglieria rinvenute, ma anche dal grado di conservazione dei reperti in materiale organico.
Il livello di preservazione del legno e delle stoffe del carico è eccellente - anche grazie agli ottimi restauri eseguiti - mentre ben poco rimane dello scafo.
Si tratta inoltre dell'unico relitto indagato con un carico di mercanzia veneziana della fine del XVI secolo, nel quale vi è una collezione di vetri muranesi sorprendente per quantità e qualità.
La scoperta del relitto, giacente su un fondo di m 26-30 di profondità, venne effettuata nel 1967 da pescatori.
Nello stesso anno e nel successivo, l'Ufficio per la Conservazione dei Monumenti Culturali della Jugoslavia e il Museo Nazionale di Zara organizzarono delle campagne di scavo.
Il giacimento apparve subito già parzialmente depredato da clandestini. Tra il 1970 e il 1971, a Lubiana venne allestita una mostra per far conoscere al pubblico gli eccezionali reperti rinvenuti.
Già in occasione dell'esposizione, ma anche negli anni immediatamente successivi, i manufatti furono oggetto di alcune pubblicazioni preliminari.
Dopo un lungo periodo di relativo disinteresse, nel 1996 il prof. Brusic ha intrapreso una nuova campagna di ricerca per recuperare il resto del carico e documentare le poche testimonianze dell'opera viva dello scafo.
Il carico e l'artiglieria della nave sono oggi esposti presso il piccolo museo di Biograd, a sud di Zara.
La collezione, che occupa quasi completamente l'esposizione, è ben allestita anche se non si può non notare la mancanza di pannelli illustrativi (le didascalie sono in lingua croata).
I due pezzi più pesanti di artiglieria fanno invece bella mostra di sé all'interno della hall del vicino Hotel Ilirija.
Lasciando all' autorevole commento di Marco Morin (vedi box) la descrizione delle artiglierie, vediamo in cosa consisteva l'attrezzatura di bordo ed il carico.
Due sono le ancore di ferro a due marre con cicale, prive di ceppo, provenienti dalla nave, i cui fusti sono lunghi rispettivamente cm 485 e 375. Una di esse è esposta all'esterno dell'ingresso museale.
La zavorra era costituita da pietre quarzose e ciottoli.
All'armamento possono essere attribuiti un sestante, due acciarini ed un misuratore per il calibro dei cannoni, mentre forse in cucina dovevano trovare servizio delle stoviglie di rame: sono più di dieci pezzi tra padelle, mastelli e coperchi. Sembra che uno di questi contenitori, che presenta incisioni in alfabeto turco, potesse servire come stufa o come lampada.
In cucina dovevano essere impiegati vasi di ceramica comune mentre a destinazioni commerciali potrebbero andare assegnate una ventina di eterogenee forme di ceramica veneziana (maioliche, ingobbiate e graffite). Quasi tutta la merce è stata rinvenuta ancora imballata in casse, botti, ceste o scatole che le contenevano e che si sono conservati in maniera sorprendente, per un relitto in ambiente marino.
Non è troppo azzardato affermare che si tratta del carico in materiale organico (vd. sotto a proposito delle stoffe...) meglio conservato del Mediterraneo.
Molti di questi imballaggi presentano marchi, per lo più con l'effigie del leone marciano, che potrebbero dire molto sulla provenienza delle merci.
Del carico facevano parte 2500 oggetti di vetro, studiati e pubblicati da A. Gasparetto.
Egli li ha suddivisi in perle di vetro, vetri. cavi e vetri piatti. Dei primi non vi è molto da dire, mentre dei secondi va detto che con questa definizione si intendono bicchieri, bottiglie, ampolle, fiaschette, boccali, vasi, ciotole e piatti di fattura tipicamente muranese. Con vetri piatti si intendono ben 648 "rui" e 50 lastre.
I primi sono i tipici dischi di vetro che riempiono le tradizionali finestre veneziane, con decorazioni a leggero rilievo che propongono schemi appartenenti al repertorio decorativo turco. I secondi sembrerebbero costituire i cosiddetti "quari" da specchio grezzo o, meno verosimilmente, altre lastre da finestra.
Del carico facevano parte anche dei lampadari in ottone, smontati ed imballati in botti di legno, provenienti dal nord Europa, forse da Lubecca, come indicato dalla presenza di aquile bicipiti. Si tratta di circa 400 pezzi che potrebbero comporre otto lampadari da soffitto e sessanta lampade da parete.
In un grande baule perfettamente conservato è stato protetto un rotolo di 54 metri di seta damascata color porpora decorata con motivi vegetali.
La pezza, che non ha eguali al mondo, è stata trovata, ancora ripiegata in strati, in un sacco piombato e sigillato. Nel baule erano anche tre camicie bianche di cotone ed otto berretti neri di lana, eccellentemente restaurati in un laboratorio svizzero. La parte forse più singolare del carico consiste in numerosissime scatole e scatolette contenenti alcune centinaia di oggetti di uso quotidiani: ditali, aghi da cucito, aghi fermaglio, rasoi, occhiali, forbici per tagliare lo stoppino delle lampade, sonagli, un bilancino di precisione con tutta la serie di pesi.
Se le confezioni sono quasi sempre ben conservate, gli oggetti in realtà sono molto corrosi e incrostati.
La parte più consistente del carico è costituita da metalli semilavorati.
La lamiera arrotolata di ottone veniva trasportata in due dimensioni, una più spessa in rotoli da m 16 ed una più sottile in rotoli più piccoli da m 14 di lunghezza.
Anche il filo di ottone è stato ritrovato in due dimensioni ed è arrotolato in matasse.
La terza forma si trova in barre piane fuse larghe cm 60. Gli stemmi presenti sull'ottone sembrerebbero indicare una provenienza centro-europea.
Il carico più consistente, come peso, è costituito da una tonnellata circa di barre di stagno: sono larghe cm 70 e presentano lo stemma del leone di 5. Marco. Circa kg 100 ciascuno pesano dieci palle di cinabro (solfuro di mercurio).
Il piombo veniva trasportato in numerosi piccoli coni contenuti in botti. Delle tavolette quadrate di lamiera bianca sono state identificate come ottone stagnato.
A chiudere l'elenco del carico, aggiungiamo un disco di pietra del diametro di circa cm 90, impiegato forse per affilare le lame.
Sulla base dello studio dei documenti del notaio Catti di Venezia. A. Gasparetto ritiene di aver individuato il nome della nave. Andando per esclusione, egli avrebbe individuato tra le liste dei naufragi una "nave" denominata "Gagiana", con destinazione Costantinopoli, alla quale si riferiscono tre atti di cessione, a distanza di 2-3 giorni l'uno dall'altro.
Per cessione (cessio) si intende un atto notarile di rinuncia ai diritti sul carico che gli assicurati, in caso di sinistro, ossia, in questo caso, di naufragio, dovevano fare agli assicuratori per poter riscuotere la somma convenuta nella polizza come risarcimento.
Questa nave sarebbe naufragata nelle acque di Morter, una delle maggiori isole tra cui sorge lo scoglio di Gnalic'.
I mercanti cedenti sono Battista Della Bella fu Zuane, Tranquillo Coletti fu Ottaviano e Zorzi Loppes Vas, assicurati presso una cordata di famosi assicuratori. E proprio il numero e l'importanza dei nomi degli assicuratori farebbe pensare ad un carico prezioso quale quello rinvenuto a Gnalic', carico di cui però purtroppo non viene fatta menzione.
Il naufragio si sarebbe dovuto consumare tra il 24 ottobre, giorno a cui è datata la polizza più recente, e il 10 novembre 1583, giorno a cui è datato il primo atto di cessione.
Due mesi dopo il naufragio, il Doge avrebbe ricevuto una supplica affinché inviasse una galera per controllare la zona del naufragio dato che del1a nave Gagliana si va recuperando nelle acque di Zaravecchia molte mercanzie.. .". Tre mesi dopo, il Senato della Serenissima avrebbe invitato i Rettori di Zara ad inviare a Venezia tutto ciò che era stato recuperato: 'denaro et molta parte delle robbe, mercantie, armizi (attrezzature della nave) et altro...
Se da un lato questa suggestiva identificazione sarebbe avvalorata dalle caratteristiche del carico che ben si presterebbe ad una destinazione turca, (vedi ad esempio le decorazioni dei 'rui" per finestre in stile islamico), dall'altro è difficile credere ad un'attività di recupero del carico di una nave affondata su un fondo di più di m 26 di profondità.
Le due più famose operazioni di recupero del XVI secolo si svolsero infatti, l'una, a profondità molto inferiore, l'altra con l'aiuto di un campana.
Ci riferiamo ai recuperi di armi dalla Mary Rose, naufragata di fronte a Portsmouth su un fondale di poco più di m 10, ad opera di alcuni specialisti chiamati da Venezia e alle esplorazioni di Guglielmo de Lorena, del 1535, sulle navi del lago di Nemi.
Che si trattasse di una nave veneziana non vi sono dubbi data la presenza non solo di importanti artiglierie, ma anche di stemmi marciani su gran parte del carico. Peraltro, non tutta la merce è di fattura veneziana ma sembra che comunque nella città lagunare si sia avuta una semilavorazione della materia grezza.
Appare difficile affermare che tutta la merce sia stata comunque imbarcata a Venezia o che, come appare meno probabile, sia stata caricata in un secondo momento. A questa domanda dovrebbero dare risposta gli archeologi che hanno indagato il relitto e che dovrebbero avere notato l'ordine di stivaggio del carico, ma, data la mancanza di piante di scavo, riteniamo poco probabile che si possa arrivare ad una conclusione affidabile...
La mancanza di una colubrina e la presenza di cannoni non veneziani deve far pensare che non si trattasse di una galera da mercato, come ancora sostenuto da qualcuno (si noti il modellino esposto al museo). Inoltre è noto che le galere erano armate con artiglieria di stato mentre sui pezzi del nostro relitto non vi è traccia del leone alato, garanzia di proprietà statale.
Se consideriamo poi la presenza di pietre di zavorra a bordo della nave, normalmente non presenti nella sentina di una galera, per di più già carica di merce, e la tipologia del carico, non possiamo che propendere per vedere nel relitto di Gnalic i resti di una nave tonda.
Le galere infatti normalmente trasportavano merce poco pesante ed ingombrante, non gravosi carichi di metalli. A questo va aggiunto che la tipologia e le dimensioni delle ancore non corrispondono con quelle delle ancore che armavano le galere della fine del '500.
Infine, non si può trascurare il fatto che, dopo la battaglia di Lepanto, mude" (convogli) di galere per il Mediterraneo orientale non circolavano più e i traffici si svolgevano quasi esclusivamente su navi tonde. La galera veniva oramai impiegata per scopi prettamente militari o di polizia.
Data l'importanza scientifica di questo ritrovamento, ma in considerazione anche della spettacolarità dei reperti della nave di Gnalic, una visita al piccolo museo di Biograd è quanto mai consigliabile.
Nel frattempo, ci auguriamo che le istituzioni croate provvedano, in tempi non troppo lunghi, ad una pubblicazione esaustiva di questo giacimento magari con la collaborazione di esperti di materia veneziana.
Dal canto nostro, con questa nota, si è voluto informare su una collezione poco conosciuta, non solo nel nostro Paese, che andrebbe senza dubbio maggiormente valorizzata, magari, perché no, con
una mostra oltre mare...
Pubblicazioni principali
Gasparetto, A., 1973, The Gnalic' Wreck: Identification of the Ship, Journal of Glass Studies, XV, pp. 79-84.
Gasparetto, A., 1975-76, Vetri veneziani da un naufragio in Dalmazia e da documenti dell'ultimo cinquecento, in Studi veneziani, XVII-XVIII, pp. 411-446.
Kelez et alii, 1970, Brod kod Gnalic' a nase najbogatije hidroarcheolosko nalaziste, in Vrulje, 1, pp. 1-82.
Petricioli, S., 1973, The Gnalic' Wreck: The Glass, Journal of Glass Studies, XV, pp. 85-92.
Petricioli, S., 1980-81, Deset godina rada na hidroarcheoloskom nalazu kod Gnalic' a, in Godisnjak zastiten spomenika kulture hrvatske, 6-7, pp. 37-45 e tavv.
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vedi anche a completamento dell'articolo i box: Le artiglierie del relitto di Gnalic e Alcune note sulle artiglierie di bronzo veneziane di M. Morin ( "L'archeologo subacqueo" stesso numero)
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Le artiglierie del relitto di Gnalic
dal relitto di Gnalic sono stati finora recuperati otto pezzi di artiglieria in bronzo relativamente piccoli, almeno due dei quali probabilmente non veneziani.
- Sacri da 12 libbre. I due più grossi, sistemati nella hall dell'Hotel Ilijria di Zaravecchia (Biograd), sono due pezzi colubrinati, apparentemente da 12 libbre e di produzione veneziana, fusi nello stesso anno (1582) da Giovanni Il (Zuan) Alberghetti. Considerando le dimensioni (lunghezza circa cm 350) e i pesi (2360 e 2380 libbre) riesce però difficile una esatta classificazione. Presentano alcune decorazioni di tipo floreale alla volata, alla culatta e all'altezza degli orecchioni.
Uno scudo ben contornato continua la decorazione della superficie superiore dell'arma. Presenta un cimiero che sovrasta la cornice di uno stemma muto, cornice che ai suoi due lati si articola nella testa di un'aquila che regge nel becco un nastro. Le iniziali Z A, intercalate da rosette anch' esse in rilievo, sono poste al di sotto di questo scudo.
- Petriera da braga da 12 libbre. Arma a retrocarica con braga in ferro fissata a due sporgenze simmetriche della culatta; il mascolo, generalmente anch'esso di bronzo, veniva inserito nella braga e messo in pressione con apposito cuneo (cugno). La canna è lunga mm 112 e ha un calibro di mm 95; la zona della braga, che sembrerebbe contenere ancora il mascolo, risulta estremamente corrosa e interessata da pesanti concrezioni. Un pezzo di codetta, probabilmente staccatosi dopo il recupero, è appoggiato in culatta.
- Petriera da braga da 12 libbre simile alla precedente. La canna è lunga mm 112 e ha un calibro di mm 95; oggi presenta una braga posticcia in legno che contiene il simulacro di un mascolo pure in legno. Sulla volata è presente uno stemma muto.
- Petriera da braga da 12 libbre simile alle precedenti. In questo esemplare la canna è lunga mm 108 e ha un calibro di mm 90; nulla rimane della braga e del mascolo. Sulla volata, in un ovale, un mascherone in rilievo di uomo barbuto; al di sotto la lettera C.
- Moschetto da braga da 1 libbra. Arma a retrocarica con braga in ferro fissata a due sporgenze simmetriche della culatta; anche qui, il mascolo, di bronzo, veniva inserito nella braga e messo in pressione con il cugno. La canna è lunga cm 88 e ha un calibro di circa mm 45; il peso impresso in culatta è di 87 libbre. Presenta in volata quello che si potrebbe definire un Biason tiercé del tipo che nell'araldica francese viene indicato come Ecu des Dames. Il riferimento alla Francia è suggerito dalla presenza nella parte inferiore sinistra dello scudo (la destra per chi lo guarda) di un fleur de lys alquanto ben dimensionato.
- Passavolanti da 9 libbre. Si tratta di due pezzi "colubrinati" a sezione ottagonale lunghi rispettivamente cm 259 e 255.5 e, presentando entrambi un calibro di mm 80, li abbiamo indicati con la denominazione veneta di "passavolante". In realtà sono probabilmente di origine francese e restano pertanto in attesa del loro appellativo corretto. Il più lungo presenta il focone contornato da un doppio bordo rettangolare in rilievo decorato ai due lati da doppi ricci ad apertura esterna; nel contorno, sempre in rilievo, le lettere G e P. La circostanza che non siano veneziani viene evidenziata dalla posizione degli stemmi, posizione invece comune in molte artiglierie tedesche e francesi.
M.M.
Alcune note sulle artigliere di bronzo veneziane
Senza alcun dubbio le artiglierie di bronzo eventualmente rinvenute fra i resti di un naufragio possono permettere, in taluni casi, una datazione abbastanza precisa del relitto e la determinazione della sua nazionalità.
Per quanto riguarda i pezzi veneziani, questo aiuto viene fornito a patto di conoscere alcuni fondamentali particolari.
Da un punto di vista morfologico il cannone (usiamo questo termine in senso generale) veneziano è caratterizzato dalla mancanza dei "maniglioni" o delfini", specie di semianelli ricavati sulla superficie dorsale del pezzo, sopra il suo centro di gravità e in genere poco più indietro degli orecchioni.
Le decorazioni in rilievo, se si eccettua nei pezzi fusi per occasioni straordinarie, sono alquanto limitate; solo i pezzi di proprietà statale presentano sulla volata il Leone di San Marco, lo stemma o gli stemmi dei Provveditori alle Artiglierie pro tempore e, fino al 1588, la X del Consiglio dei Dieci.
Si notano inoltre, in rilievo, le iniziali o il nome del fonditore e, sul rinforzo di culatta, inciso il peso in libbre sottili alla veneziana; la data della fusione risulta di rado presente nei pezzi di proprietà della Repubblica.
Le grandi famiglie di fonditori furono solo tre: gli Alberghetti, attivi dal 1485 fino alla caduta della Repubblica; i di Conti, attivi dal 1460 al 1650 circa e i Mazzaroli, imparentati con i di Conti, dal 1620 al 1797. Ricordiamo che le artiglierie potevano essere divise in due categorie, quelle ad avancarica e quelle a retrocarica. La prima era senza dubbio la più importante in quanto comprendeva i pezzi più grandi e potenti.
Tra i pezzi ad avancarica si avevano: il moschetto da zuogo da 1 libbra con un calibro di 42-45 mm e una lunghezza di 140-160 cm; il falconetto da 3 libbre con un calibro di 50-55 mm e una lunghezza di 140-160 cm; il falcone da 6 libbre con un calibro di 62-65 mm e una lunghezza di 150-170 cm; l'aspide da 12 libbre con un calibro di 95-100 mm una lunghezza di 170-180 cm; il sacro da 12 libbre con un calibro di 95-100 mm e una lunghezza di 210-270 cm.
Vi erano poi le colubrine da 14, 20, 30,40, 50, 60, 90, 100 e 120 libbre e i cannoni da 16, 20, 30,40, 50, 60, 90, 100 e 120 libbre: le prime, rispetto ai secondi di pari calibro, erano di 1/3 più lunghe e più pesanti in proporzione.
Fino ai pezzi da 12 libbre compresi, la designazione del calibro era data dal peso della palla di piombo che veniva sparata nella prova forzata del pezzo stesso: un sacro, ad esempio, veniva assoggettato alla prova con palle di piombo del peso di 12 libbre sottili alla veneziana (1 libbra = g 301,2), mentre nell'uso pratico sparava palle di ferro fuso di uguale diametro che però, per il differente peso specifico dei due metalli, pesavano in realtà 9 libbre.
Per le artiglierie di calibro superiore la prova era effettuata con le stesse palle di ferro che venivano usate normalmente e pertanto la designazione indica il peso in libbre di queste ultime.
Un cannone o una colubrina da 50 libbre avevano così entrambe un calibro di circa mm 170 e sparavano quindi palle di ferro uguali: il primo aveva però una lunghezza inferiore alla seconda e impiegava una carica di polvere nera di peso inferiore.
Per quanto poi riguarda le artiglierie corte destinate al lancio di bombe, mortai e trabocchi, il calibro indicava il peso della palla di ferro che teoricamente entrava nella sua canna. In realtà sparavano bombe cave, riempite ovviamente di polvere nera e dotate di opportuna spoletta, molto più leggere; un pezzo da 500 libbre aveva così un calibro di circa 385/400 millimetri c utilizzava proiettili del peso a vuoto di circa 130 libbre.
Tra i pezzi a retrocarica troviamo il moschetto da braga da 1 libbra, con un calibro di circa mm 45 e lungo intorno al metro, la petriera da mascolo e la petriera da braga da 6 libbre con mm 70 di calibro e una lunghezza, codetta esclusa, di circa un metro; la petriera da braga da 12 libbre con un calibro di mm 95 e una lunghezza di cm 130 circa.
Tutti i pezzi a retrocarica erano dotati di almeno tre mascoli, specie di otturatore mobile a forma di boccale destinato a contenere la carica di lancio; quelli da braga presentavano in culatta un'armatura di ferro deputata ad accogliere e trattenere il mascolo. Negli altri, meno comuni, la canna presentava in culatta un prolungamento aperto superiormente per l'introduzione e il posizionamento del mascolo.
Tutti questi dati si riferiscono alle artiglierie di produzione statale e destinate ad impiego militare navale e terrestre; i dati relativi a quelle prodotte per i civili e destinate ad armare le imbarcazioni mercantili, su cui ancora non disponiamo di sufficienti notizie, potevano variare nella lunghezza e nel peso in rapporto alle particolari specifiche indicate dal committente.
Il bronzo utilizzato a Venezia era di norma una lega formata da 9 parti di rame, 1 parte di stagno e 1 parte di ottone aggiunta a mezza fusione. Dal momento che l'ottone si otteneva dall'unione di rame e giallamina (ortosilicato idrato di zinco; lo zinco puro venne isolato solo nella seconda metà del XVIII secolo), le analisi chimiche dei pezzi disponibili denunciano invariabilmente la presenza anche del silicio.
M.M.
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