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Ricerca di Giampaolo De Vecchi e Antonio Rosso
pubblicata su "Archeologia Veneta" anno XI, 1988 pp161-169
Con il termine di "pietra ollare" si indica un materiale litico di colore verde scuro, costituito per lo più da rocce talcoso-cloritiche e/o serpentinose.
Da queste si ottengono manufatti con caratteristiche di buona refrattarietà utilizzate come vasellame per il fuoco e come suppellettili.
I giacimenti di questi materiali si rinvengono lungo gli assi orogenetici di catene collisionali, nelle associazioni ofiolitiche (originarie rocce basiche ed ultrabasiche sia intrusive che effusive) che rappresentano antichi resti di litosfera oceanica dislocati tettonicamente in aree continentali.
Al metamorfismo regionale ed al metasomatismo vanno attribuite le trasformazioni degli originari prodotti ultrafemici in scisti di basso grado metamorfico "serpentine" da cui si estraggono le pietre ollari.
Le serpentine si ritrovano per lo più in ammassi lentiformi, assieme ad altri scisti magnesiaci in parecchie località alpine ed appenniniche, oppure in massi erratici sparsi allo sbocco delle vallate alpine.
Vengono spesso attribuiti erroneamente a pietre ollari anche quei manufatti (rocce calcaree ed eruttive) che mostrano tecniche di lavorazione e morfologie simili, ma che non hanno quei caratteri di refrattarietà necessari per l'uso sul fuoco. Per tale motivo nel presente studio sono state considerate unicamente come pietre ollari i frammenti appartenenti a rocce serpentinose.
MORFOLOGIA ESTERNA
Ritrovamenti di pietra ollare nel Triveneto (FINGERLIN G. e altri 1968, LECIEJECICZ e altri 1977, SIVIERI 1986, DE VECCHI 1987) sono noti da tempo.
La fig. 1 riporta le località in cui sono stati rinvenuti i reperti oggetto di questa nota ed i luoghi di cui si sono avute indicazioni bibliografiche o verbali di ritrovamenti.
I frammenti sono attribuibili a bicchieri, pentole, vasi, senza una preferenza tipologica anche se, a causa delle loro piccole dimensioni, non è stato sempre possibile definirne completamente le unità di appartenenza.
Molti reperti presentano tracce di un evidente uso al fuoco, mentre per altri, di spessore particolarmente sottile, è presumibile un loro uso come bicchieri o piccoli recipienti.
Solo due reperti hanno avuto una funzione diversa. Il reperto del Museo Provinciale di Bolzano, dell'età del bronzo, è stato utilizzato come stampo per fusione di metalli, mentre i residui di vetro rinvenuti in uno dei frammenti di S. Lorenzo di Ammiana, nella Laguna di Venezia, fanno invece ritenere un suo uso come crogiolo per una officina vetraria, in analogia a quanto rinvenuto a Torcello (LECIEJECICZ e altri 1977). Il frammento (E. Canal, comunicazione verbale) presenta evidenti trasformazioni e non è rimasto alcun minerale dell'originaria serpentina (?).
La maggior parte dei reperti in pietra ollare analizzati presenta evidenti tracce di lavorazioni al tornio con solchi più o meno regolari. Molte di queste lavorazioni indicano anche un intento ornamentale.
Si sono ritrovati sia fondi che pareti di recipienti e gli spessori sono risultati variabili per le pareti da un minimo di 4 mm ad un massimo di 8 mm (9 mm se lavorata). I fondi, invece, sono risultati sempre di maggior spessore variando da 10 a 21 mm.
Gran parte dei campioni sono stati rinvenuti tra materiale di riporto, cioè in contesti difficilmente databili con precisione. Di alcuni reperti, infine, si conosce solo genericamente l'area di provenienza.
Fatta eccezione per il reperto dell'età del bronzo, l'arco temporale della diffusione risulta variabile con continuità tra l'età romana e il XVI secolo.
Tuttavia, dall'esame dei contesti in cui è stata rinvenuta la pietra ollare nel Veneto, il massimo sviluppo di questi reperti sembra porsi intorno al VII-X secolo, con una diffusione iniziale presso i centri maggiori, con un attardamento maggiore nelle zone rurali e nei castelli dove è stato rinvenuto in associazione con ceramica acroma o graffita di età moderna.
INDAGINI PETROGRAFICHE
In oltre due anni si sono potuti reperire in varie località circa 150 campioni, di cui la maggior quantità proveniente dalla laguna di Venezia.
Data la finalità della ricerca ciò non è da ritenersi una limitazione, così come neppure il fatto che nessun manufatto è risultato ricostruibile a causa delle modeste dimensioni.
Un primo esame visivo ha permesso di riconoscere una sostanziale uniformità di litotipi per cui sono stati selezionati 52 campioni rappresentativi dell'intera popolazione.
Su questi è stato eseguito lo studio petrografico al microscopio in luce trasmessa e riflessa e diffrattometrico ai raggi X che ha permesso di evidenziare le strutture e le tessiture dei vari litotipi e definirne l'esatta composizione mineralogica.
Nelle considerazioni generali si è inoltre tenuto conto sia dei reperti rinvenuti ad Altaura (DE VECCHI 1987) sia dei ritrovamenti di Torcello (LECIEJEVICZ e altri 1977).
Si indicano di seguito i campioni, raggruppati per località di rinvenimento.
Località |
Contesto temporale |
n.campioni |
Venezia (Butto n. 2 - Misericordia) |
XI-XIV sec. |
1-2 |
S. Ariano (VE - Laguna Nord). |
VII-XI sec |
3-22 |
Ottagono Abbandonato (VE - Laguna Centrale) |
ass. mat. romano |
23-26 |
Fusina (VE) |
non definibile |
27-32 |
S. Giacomo in Paludo (VE - Laguna Nord) |
non definibile |
33-34 |
S. Lorenzo (VE - Laguna Nord) |
V-VI sec. |
35 |
Madonna del Monte (VE - Laguna Nord) |
non definibile |
36 |
Oderzo (TV) |
non conosciuto |
37 |
Castello di Cordignano (Vittorio Veneto - TV) |
XV sec. |
38 |
Fossanigo - Necropoli (VI) |
in associaz. mat. romano |
39 |
Gaiba (RO) |
I-III sec. d.C. |
40 |
S. Basilio (RO) |
IV-V sec. d.C. |
41 |
Pordenone (Vicolo delle mura) |
non conosciuto |
42 |
Chions (PN - Casale Cassetti) |
non conosciuto |
43 47 |
Castello di Colloredo (UD) |
II metà XV sec. e I metà XVI |
48-49 |
Ragogna (UD) |
non conosciuto |
50 |
Ledro (TN) |
VI-VII sec. d.C. |
51 |
Bolzano (Museo Provinciale) |
età del bronzo |
52 |
Altaura (Montagnana - PD) |
V-X sec. d.C. |
|
Torcello (VE - Laguna Nord) |
VI-XI sec. d.C |
I campioni sono risultati appartenere ai seguenti litotipi:
gruppo 1: talco-cloritoscisti a carbonati;
gruppo 2: cloritoscisti;
gruppo 3: talco-cloritoscisti
Gruppo 1 - Talco-cloritoscisti a carbonati: è il più comune.
Trattasi di frammenti di colore grigio o grigio/verde, più o meno ossidati generalmente a grana fine. Mineralogicamente essi sono costituiti dall'associazione talco-clorite-carbonati di calcio e magnesio ed opachi (magnetite, pirite, pirrotina, calcopirite e più rara pentlandite).
La frazione carbonatica risulta costituita da proporzioni variabili di magnesite e dolomite (i frammenti litici a sola magnesite si differenziano anche per una particolare untuosità al tatto).
Analoga variabilità esiste per la frazione talcosa con la clorite per cui talcoscisti o talco-cloritoscisti sono stati fatti rientrare nella medesima associazione mineralogica.
I campioni possono essere comparati ai gruppi C e D riportati in MANNONI, PFEIFFER, SERNEELS 1987.
Gruppo 2 - Cloritoscisti: sono stati rinvenuti in 5 località.
Questa associazione è caratteristica di quei reperti ad evidente colorazione verde e per lo più a grana fine. Sono costituiti generalmente da clorite con struttura decussata, da rari minerali semi opachi attribuibili a rutilo che sono disposti in scie nastriformi entro la roccia. Presenti talvolta anche rari piccoli blasti di epidoto pistacitico e clinozoisite ed "occhi" minuti di albite.
Possono essere comparati al gruppo F nel citato lavoro (MANNONI 1987).
Gruppo 3 - Talco-cloritoscisti: a questo gruppo appartiene un solo reperto rinvenuto nella laguna di Venezia nell'isola di Ottagono Abbadonato, nei pressi di Malamocco.
Talco-cloritoscisti, di cui la Pennina è la specie più diffusa si trovano in Svizzera (Zermatt), in Austria (Tirolo), nella Val Malenco e nella Val d'Ala.
Possono essere comparati ai cloritoscisti a grana grossolana (gruppo G ex IV) riportati in Mannoni.
Nella pianta in cui sono indicate le località dei giacimenti sfruttati (MANNONI 1987), non compare chiaramente la località di provenienza di tale litotipo, che, tuttavia, lo stesso Mannoni riporta come proveniente da Chiavenna in Val Bregaglia e da Ayas in Val d'Aosta (MANNONI 1980).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le associazioni mineralogiche riscontrate nei vari campioni di pietre ollari risultano piuttosto monotone e ciò in accordo con quanto già osservato in altri ritrovamenti della pianura padana.
Il numero di campioni esaminati provenienti dall'entroterra veneto è modesto se raffrontato con quello dell'area lagunare, ma pur tuttavia consente un «test» abbastanza significativo da cui si possono trarre alcune indicazioni generali.
Come risulta dall'indagine petrografica, i reperti con la associazione tipo talco-clorite-carbonati (magnesite + dolomite) prevalgono nettamente su quelli costituiti quasi esclusivamente da clorite (per lo più pennina).
La presenza nel primo gruppo di magnesite+dolomite, anche in percentuali rilevanti, indica che l'azione metamorfica si è esplicata con un apporto di H20 e di CO2. La stabilità dell'associazione talco-magnesite+dolomite e clorite pur con XCO2 variabile non dovrebbe superare di molto i 500 °C.
Queste condizioni metamorfiche si sono realizzate in parecchi settori della catena alpina ed in particolare nell'Ossola-Canton Ticino, nelle Finestre dell'Engadina e dei Tauri (fig. 4).
Nella Val d'Ossola, in Valtellina (Val Malenco) e in Val Bregaglia sono noti giacimenti di cloritoscisti e talcoscisti cloritici a magnesite, alcuni dei quali vengono utilizzati ancor oggi dall'artigianato locale. Essi potrebbero, pertanto, rappresentare l'area di provenienza preferenziale per i manufatti ritrovati nel Veneto.
La letteratura (MANNONI et altri 1977) segnala, inoltre, in Val d'Ossola la presenza di cloritoscisti esclusivamente a grana grossa non ancora ritrovati nel Veneto; se questa corrispondenza fosse confermata, l'area potrebbe ulteriormente essere ristretta alla Valtellina, alla Val Bregaglia e all'Engadina, dove sono presenti tutti i litotipi rinvenuti.
BIBLIOGRAFIA
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AA.VV. 1987, La pietra ollare dalla preistoria all'età moderna, Atti del Convegno, Como.
BOLLA M. 1987, Recipienti in pietra ollare da Milano, in Atti Como 1982.
BOLLA M. 1988, Recipienti in pietra ollare, in Scavi, pp. 210-217.
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FINGERLIN G., GARBSCH J., WERNER 1. 1968, Gli scavi nel castello longobardo di Ibligo-invillino (Friuli), in "Aquileia Nostra", XXXIX, Aquileia, p. 122.
GELICHI S. 1983, La pietra ollare, in Ravenna e il Porto di Classe, Catalogo della mostra, Bologna, p. 176 ss.
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